Fuga dalla terra rossa: Ecco come nasce e cos’è il Progetto Campi Veloci della Federazione Italiana Tennis
Il peccato originale.
Come e perché la cultura della terra rossa (e la mentalità che ne scaturisce) penalizzano il tennis italiano maschile. Come nasce e cos’è il Progetto Campi Veloci della FIT.
A cura di Roberto Commentucci.
Ha curato il progetto Campi Veloci per conto della Fit. L’articolo è stato pubblicato sul numero di maggio de “Il Tennis Italiano”.
L’allenamento e la competizione su tutte le
superfici sono di importanza fondamentale
nella costruzione di un moderno professionista
(Renzo Furlan)
Molti nostri giocatori, nei momenti caldi
dei match, fanno un passo indietro
e lasciano l’iniziativa agli avversari.
E’ una attitudine mentale che viene dagli anni
giovanili, molto difficile da cambiare.
E’ il “DNA del terraiolo”.
(Fabio Rizzo, coach italiano)
Non basta allenarsi sul veloce, per diventare tennisti completi.
Bisogna giocarci sopra dei tornei, delle gare importanti.
La partita di allenamento è come il poker giocato senza soldi
(Simone Ercoli, coach italiano)
“Aho, ma hai visto i nostri, in Australia?
Tutti fuori al primo turno…come a New York!
Mamma mia, certo che sul veloce sò proprio scarsi…
A proposito, ragazzi, per il doppio, c’è libero solo il campo veloce…
Che si fa? No, no, aspettiamo, là sopra io non ci gioco…”
(4 Soci di mezza età nella Club House di un Circolo romano)
Chi vive vicino al fiume conosce la natura dei pesci;
chi dimora fra le colline sa riconoscere
il cinguettio dei diversi tipi di uccelli.
(Proverbio cinese)
La terra rossa, rifugio e prigione del tennis italiano.
Primavera. Con il ritorno del circuito in Europa, ci si appresta a vivere la stagione tradizionale della terra battuta. Montecarlo, Roma, Madrid, Parigi. Eventi e tornei carichi di fascino, ricchi di storia, onusti di gloria. Gli appassionati italiani attendono speranzosi l’exploit di qualche azzurro. I nostri giocatori, tradizionalmente, danno il meglio sulla polvere di mattone. Ma i numeri sono impietosi. E ci mostrano con chiarezza che la breve stagione della terra battuta è ormai una parentesi, nemmeno troppo importante, nel complessivo panorama del tennis mondiale di alto livello.
Le regole di determinazione del ranking in vigore dallo scorso anno per i top 30 e il calendario Atp, infatti, fanno si che sulla terra rossa venga ormai assegnato solo il 27% circa dei punti in palio nel circuito maggiore. Uno su 4, insomma, mentre il veloce (outdoor e indoor) la fa da padrone incontrastato.
Superficie | Percentuale punti Atp in palio sul totale |
Cemento all’aperto | 52% |
Terra rossa | 27% |
Erba | 5% |
Cemento indoor (*) | 16% |
(*) Da inizio 2009 tutti i tornei Atp giocati indoor adottano superfici in cemento, abbandonando i tappeti sintetici.
Fonte: sito Atp, elaborazione dell’autore.
Ne consegue che, a parità di livello tecnico e di risultati, un tennista da veloce avrà sistematicamente una classifica migliore di uno specialista della terra: quindi, per essere competitivi ad alto livello bisogna ottenere punti soprattutto sulle superfici rapide. Ovvero, proprio quel che non riescono a fare i nostri giocatori. Il best 18 (i migliori 18 risultati che determinano la classifica Atp) dei primi 10 tennisti italiani è infatti costituito per oltre il 60% da punti ottenuti sul rosso, come mostra la tabella seguente, aggiornata al 12 ottobre 2009.
Giocatore | Rank Atp | Punti complessivi | su terra | Pari a (%) |
Seppi | 50 | 850 | 460 | 54% |
Bolelli | 58 | 806 | 260 | 32% |
Fognini | 66 | 720 | 600 | 83% |
Starace | 75 | 682 | 582 | 85% |
Lorenzi | 90 | 577 | 406 | 70% |
Cipolla | 163 | 336 | 252 | 75% |
Arnaboldi | 209 | 243 | 241 | 99% |
Stoppini | 220 | 225 | 27 | 12% |
Volandri | 224 | 219 | 219 | 100% |
Ghedin | 236 | 210 | 83 | 40% |
Totale | 4868 | 3130 | 64% |
Fonte: sito Atp, elaborazione dell’autore.
Difficile, in queste condizioni, essere competitivi a livello di top 30 (dove infatti i nostri hanno fatto registrare, negli ultimi 10 anni, apparizioni sporadiche). Non stupisce, quindi, che l’unico top 50 che abbiamo attualmente sia un tennista come Seppi, non particolarmente dotato come talento, ma in grado di difendersi su tutte le superfici.
Infrastrutture e organizzazione agonistica: un confronto internazionale.
Al capezzale del tennis maschile italiano si sono affannati, negli anni, fior di medici, guaritori e stregoni. Di seguito, si propone una personalissima diagnosi, basata in parte su dati oggettivi e in parte sull’osservazione delle dinamiche della crescita dei giovani tennisti in Italia.
In estrema sintesi, la tesi che si intende dimostrare è la seguente: uno dei maggiori mali del nostro tennis è l’interazione perniciosa fra una caratteristica ambientale (allenamento e competizione concentrati sulla terra rossa come in nessuna altra nazione europea) e una mentalità, nella costruzione dei giovani giocatori, troppo orientata al breve termine, alla vittoria immediata, alla coppetta tra gli under, trascurando il lavoro da fare in chiave futura, per essere competitivi tra i professionisti.
Iniziamo da un confronto sulle infrastrutture, con i tre paesi europei più vicini a noi:
Paese | Popolazione | Totale campi | Di cui in veloce |
Germania | 82 mln. | 48000 | 10000 |
Francia | 62 mln. | 33000 | 15000 |
Spagna | 47 mln. | 18000 | 7000 |
Italia | 60 mln. | 10000 | < di 1.000 |
Anno 2009. Fonte: Federazioni nazionali – campi di proprietà dei circoli affiliati.
Lasciando da parte il minore sviluppo complessivo del nostro movimento, che promana da motivazioni profonde di ordine storico, culturale e sociale, quel che spicca nel confronto è l’obsoleta vocazione terracentrica nella nostra dotazione infrastrutturale (i presunti terraioli spagnoli hanno 7 campi veloci per uno nostro!) che si riflette ovviamente sull’organizzazione delle gare.
I nostri giovani agonisti, in questa situazione, sono costretti ad allenarsi e competere quasi esclusivamente sulla terra: tornei giovanili, campionati italiani assoluti giovanili nazionali e regionali, coppa PIA, coppa delle Regioni, Coppa delle Province, etc. Solo la Coppa di Inverno, da poco istituita, si gioca sul veloce.
A livello under 16 e under 18, è più o meno lo stesso. Pressoché tutti i prestigiosi tornei juniores italiani (Bonfiglio, Santa Croce, Avvenire, etc.) si disputano sul mattone tritato.
E poi ancora, crescendo, i pochi che tentano la via del professionismo trovano la medesima situazione nei tornei Open, i Futures, i Challenger italiani: quasi tutti si disputano sul veloce, mentre all’estero la ripartizione degli eventi minori per superficie è molto più equilibrata, come si vede:
Paese | Futures-Challenger | su veloce | In percentuale |
Germania | 32 | 14 | 43% |
Francia | 27 | 18 | 66% |
Spagna | 50 | 15 | 30% |
Italia | 54 | 8 | 14% |
Anno 2008. Fonte: sito ITF, elaborazione dell’autore.
Terra rossa, mentalità e crescita dei giovani nel tennis moderno.
Ma questo non è tutto. Il problema è che la terra battuta non solo limita l’emergere di giocatori da veloce, ma condiziona in negativo la costruzione di tennisti adatti al gioco moderno. Secondo le statistiche della PTR (Program Tennis Registry) nel circuito Atp maschile oltre il 65% degli scambi giocati dura meno di cinque colpi ed è vinto dal giocatore che prevale nei colpi di inizio gioco (servizio o risposta aggressiva). Nel tennis moderno ormai da anni vincere punti in difesa è molto più complicato che in passato: il primo che prende l’iniziativa, che riesce a mettere i piedi dentro al campo, ha le migliori probabilità di fare il punto. Per questo, i colpi più importanti non sono più il diritto e il rovescio, ma il servizio e la risposta.
Illuminanti, in questo senso, sono le statistiche dell’Atp sull’efficienza dei colpi di inizio gioco dei nostri tennisti. Vediamo com’era la situazione allo scorso settembre:
Gioc. | Rank Atp | Pt. vinti con la 1° | Pt. vinti con la 2° | Games servizio vinti | Pt. vinti contro la 1° | Pt. vinti contro la 2° | Games risposta vinti |
Seppi | 40 | 69% (45esimo) | 49% (44esimo) | 68% (51esimo) | 31% (20esimo) | 51% (20esimo) | 24% (24esimo) |
Bolelli | 64 | 72% (35esimo) | 51% (30esimo) | 72% (24esimo) | 23% (90esimo) | 38% (92esimo) | 15% (93esimo) |
Fognini | 65 | 65% (55esimo) | 46% (55esimo) | 66% (72esimo) | 32% (11esimo) | 49% (42esimo) | 25% (21esimo) |
Starace | 68 | 62% (66esimo) | 53% (21esimo) | 67% (64esimo) | 29% (44esimo) | 48% (56esimo) | 22% (48esimo) |
Fonte: sito Atp.
Come si vede, la qualità dei colpi di inizio gioco determina gran parte della dimensione tecnica del giocatore. In questo ambito, manchiamo di un tennista in possesso di un profilo equilibrato: chi risponde relativamente bene serve maluccio (Seppi e Fognini) o viceversa (Bolelli). In generale, i nostri sono più bravi a rispondere che a servire, ma questo dipende anche dal fatto che giocano molto sulla terra.
Sono problematiche che vengono da lontano. Basta farsi un giro per le nostre scuole di agonistica, e misurare la percentuale del tempo che viene dedicato alla cura del servizio e della risposta sul totale, per capire quanto il nostro sistema addestrativo sia indietro. Questo, tuttavia, non deriva necessariamente da insipienza o cattiva volontà dei tecnici.
Il problema fondamentale è che la terra rossa non incentiva l’ambiente (nel suo complesso: maestri, genitori, dirigenti etc.,) a costruire nei giovanissimi i due colpi più importanti nel tennis moderno: il servizio e la risposta.
Inoltre, anche quando si entra nello scambio “alla pari”, giocare sulla terra rende più difficile stimolare i giovani giocatori ad assumere un atteggiamento tattico aggressivo, a cercare l’anticipo e a giocare con i piedi vicini alla linea di fondo, caratteristiche oggigiorno fondamentali.
In definitiva: imparare a giocare (anche) sul veloce significa diventare giocatori migliori e più completi, e quindi più forti (anche) sulla terra battuta. Essere terraioli specialisti non paga più nemmeno sulla terra.
Vediamo ora cosa capita tipicamente in Italia con un ragazzino promettente (diciamo tra i migliori della sua regione) nel periodo che va dai 12 ai 14 anni, periodo fondamentale per la crescita tecnica e fisica. Il pericolo maggiore sulla via del professionismo è l’orientamento al breve termine del lavoro tecnico e fisico, che deriva da una serie di fattori soprattutto culturali e ambientali:
- i genitori (che spesso hanno poca cultura sportiva e tennistica) fanno pressione sui maestri per vincere ogni giorno, preoccupandosi se un cambiamento tecnico (es. imparare a servire piatto e aggressivo) ha un costo immediato in termini di competitività;
- i maestri, spesso in concorrenza fra loro per allenare i ragazzi bravi, temono di perdere la fiducia del genitore-cliente, e finiscono spesso per assecondare le loro ansie di vittoria immediata, rinviando il necessario lavoro di sviluppo tecnico e fisico;
- i dirigenti di circolo, anche quelli più illuminati e desiderosi di investire sui giovani, hanno a cuore che i ragazzini vincano – qui e ora – la coppetta a squadre;
- la Federazione, che deve iniziare a selezionare i ragazzi da tenere sotto osservazione e da convocare ai raduni, ovviamente non può prescindere (anche) dai risultati: questo genera ulteriori incentivi a vincere subito, per mettersi in evidenza, costi quel che costi.
Gli effetti negativi di questa mentalità orientata al breve termine sono però potentemente esacerbati e amplificati dalle caratteristiche tecniche della terra rossa. Far competere solo sul rosso i ragazzini sotto i 14 anni, magari in inverno, con umidità e palle pesantissime, significa selezionare, a parità di livello tecnico, i più prudenti, i più regolari e scaltri tatticamente, i più precoci nell’evoluzione fisica. Ma molto spesso i più futuribili, ovvero quelli che osano, quelli che prendono rischi, sono coloro che escono sconfitti, e sono quindi incentivati a smettere.
Così, il nostro ambiente “seleziona” i giovani alla rovescia: a quell’età, può capitare che siano i meno adatti al tennis moderno quelli che vanno avanti. Fino a che, di lì a poco, verso i 16 anni, si accorgono che furbizia, regolarità e tattica non bastano più, e che bisogna saper fare gli aces e tirare i vincenti, se si vuole andare avanti. E a quel punto, smettono anche loro. Un Darwinismo al contrario, insomma.
In conclusione, in Italia abbiamo bisogno di una doppia rivoluzione: infrastrutturale (costruire tanti campi veloci, per allenare e far competere i nostri ragazzi) e soprattutto culturale.
Cambiare la mentalità, il modo di pensare delle persone, è un processo lungo e difficile: ma può essere reso più spedito, se l’ambiente “fisico” (la superficie di gioco) sarà quello che più spontaneamente incentiva le scelte e le politiche più lungimiranti.
La più grossa obiezione a tutta la costruzione potrebbe essere: ma perché, allora, se il problema sono i campi, fra le donne andiamo bene? Per varie ragioni: la prima, e più immediata, è che fra le donne i colpi di inizio gioco hanno (per ora) molta meno importanza rispetto ai fondamentali da fondo. E quindi, in questo settore il nostro “terracentrismo” è meno dannoso. Poi, perché molti allenatori concordano sul fatto che in Italia le ragazzine sono più allenabili dei maschietti: sono più docili e mature, e più determinate a migliorare. E’ più semplice con loro lavorare su servizio e risposta, mentre i ragazzini spesso si annoiano. Infine, la maggiore determinazione porta le ragazze a viaggiare di più e a capire prima come funziona il circuito professionistico.
Una prima risposta: il “Progetto Campi Veloci” della FIT.
La nostra Federazione ha iniziato ad affrontare il problema. Il prossimo 3 maggio a Roma, in una apposita conferenza stampa, verrà presentato, durante gli Internazionali d’Italia, il “Progetto Campi Veloci”, iniziativa strategica volta a stimolare i Circoli ad aumentare la dotazione di campi rapidi del nostro paese.
Sono previste 3 diverse leve di azione:
- L’organizzazione agonistica: molte gare giovanili, sia individuali che a squadre, saranno disputate sul veloce; le date più richieste per l’organizzazione dei Futures ITF verranno attribuite ai circoli che organizzeranno tornei sul veloce.
- Il marketing: la Federazione ha stipulato convenzioni con le maggiori ditte produttrici di campi veloci (Play-it, Greenset, Mantoflex), che riconosceranno ai circoli sconti fino ad oltre il 20% sui prezzi ufficiali. Inoltre, sono stati presi accordi con il Credito Sportivo e la BNL-BNP Paribas, per offrire ai circoli in grado di presentare idonee garanzie finanziamenti mirati a condizioni agevolate.
- La comunicazione: L’ostacolo maggiore al “salto culturale” del veloce è che i Circoli sono frequentati e finanziati da soci, spesso anziani, che sono molto diffidenti nei confronti dei campi rapidi. Tuttavia, che essi siano pericolosi, a livello amatoriale, è più che altro un luogo comune, basato su esperienze fatte su superfici di 30 anni fa, quali il cd. “Mateco”, mentre le più moderne soluzioni oggi disponibili sono ben più confortevoli e “giocabili”. Inoltre, rispetto alla terra rossa, esse soffrono molto meno gli agenti atmosferici (non gelano, asciugano prima) e offrono condizioni di gioco molto migliori nelle ore serali e invernali, quando sulla terra le palle diventano “gatti”. Pertanto, la Federazione porrà in atto una massiccia campagna di comunicazione per far conoscere i vantaggi delle nuove superfici e mitigare i timori dei soci.
Conclusione
La sfida più difficile per il nostro movimento, in prospettiva, sarà quella di trovare un diverso equilibrio fra le sue due principali componenti, quella ricreativa e quella agonistica, che come abbiamo visto hanno esigenze spesso contrastanti: i giovani devo giocare anche sul veloce, i soci non vogliono sentirne parlare. Tuttavia, appare chiaro che nella ricerca di questo nuovo equilibrio i clubs spagnoli, francesi e tedeschi (da cui sono usciti 35 degli attuali top 100…) sono stati finora più lungimiranti dei circoli italiani. Occorre recuperare il tempo perduto.
A cura di Roberto Commentucci, che ha curato il progetto Campi Veloci per conto della Fit. L’articolo è stato pubblicato sul numero di maggio de “Il Tennis Italiano”.
TAG: terra rossa
Una analisi bellissima e completa!
Complimenti a Roberto. Speriamo che questo lavoro serva a cambiare qualcosa.
Anche io sono convinto che il fatto che in Italia si giochi troppo sul rosso sia il principale problema del tennis nostrano.
Da noi spesso si trovano tennisti che dal punto di vista tecnico sarebbero adattissimi a giocare sul veloce, ma non ci sono abituati perché cominciano a giocarci troppo tardi.
Già in Spagna si gioca molto di più sul duro e l’adattabilità dei giocatori ne beneficia.
caro comentucci
grazie per la tempestività e per i ringraziamenti
non era mia intenzione dire che il progetto non è opportuno che i campi veloci non servono e che soprattutto si debba competere su queste superfici; sono perfettamente in accordo con Lei e con la FIT
anzi a mio modesto avviso la scuola tennis dovrebbe svolgersi esclusivamente su queste superfici così come molte delle competizioni giovanili . Basterebbe programmare e disputare campionati provinciali , regionali, nazionali su queste superfici , al NORD nelle Academy al CENTRO E al SUD nei villaggi turistici dove è pieno di campi in cemento . Certo i Presidenti dei Circoli non sarebbero contentissimi ma la botte piena e la moglie ubriaca è ancora difficile da trovare , almeno fino a quando non sposeranno il PROGETTO SPORT che prevede più voti , più finanziamenti , più competizioni , più lustro ai sodalizi che organizzano la scuola di sport , le competizioni giovanili e non , sui campi veloci .
In quanto al resto il mini tennis è vissuto come qualcosa che si sopporta che si deve fare , non come un momento fondamentale del percorso di un tennista
la domanda più frequente che mi hanno fatto gli altri genitori quando mio figlio marco aveva 9-10 anni era la seguente ?
Ma non gioca mai sul campo grande ? Io gli cambierei circolo!!!!
Questa è la realtà e la comunicazione che passa. Si ricorderà che per qualche anno ( Marco ha giocato così) gli under 10 giocavano le gare con un taglio della lunghezza , non era il massimo ma almeno in questo modo servizio e risposta avevano le sembianze dei colpi dei campioni. Poi, così mi è stato riferito da un tecnico nazionale dello staff di Lombardi ,si è deciso di proporre il campo standard , perchè a livello internazionale gli under 10 competono su questo campo . E’ come se in una scuola elementare per il fatto che ci sono due bambini già in grado di fare le equazioni , il programma di matematica cambia e tutti dovranno imparare a fare le equazioni.
Il Prof. Lombardi a detta di Bottazzi e di Rossi è stato sicuramente il miglior direttore che la scuola nazionale maestri abbia mai avuto
ma nei due lustri di attività , si è occupato soprattutto di tennis di vertice .
Con stima Adriano
Articolo molto interessante
Grazie per la risposta Sig. Commentucci le sono molto grato,e nello stesso tempo la invito a continuare nella iniziativa intrapresa affinche’ il tennis italiano possa un giorno avere non dico un numero 1, dipende da tanti troppi fattori non ultima la fortuna, ma almeno avere qualche giocatore nei primi venti. Saluti Alvaro.
Bello, bravo Roberto che hai sentito il desiderio di scrivere, rispondere ed addirittura ringraziare per i contributi e le critiche che abbiamo cercato di fornire.
Complimenti.
Caro Adriano.
Premetto che parlo a titolo personale e non a nome della Federazione.
Condivido molte delle cose che lei dice. Però:
1. il minitennis è insegnato anche nei circoli FIT, almeno quellli che aderiscono ai PIA (Piani Integrati di Area, con cui si è cercato di fare qualità). La qualità dell’addestramento di base da quest’anno verrà controllata da tecnici FIT itineranti. Purtroppo molti circoli non hanno interesse a fare addestramento di qualità ed è difficile obbligarli.
2. Nell’ambito del Fit Ranking Program i bambini giocano e competono appunto su campi di dimensioni ridotte e con palle depressurizzate e racchette mid.
3. La Federazione ha cercato di migliorare la qualità e la didattica delle scuole di base, grazie anche all’opera del compianto prof. Lombardi.
Questo ovviamente nulla toglie alla qualità della ricerca e della formazione svolta da R.I.T.A.
Sulla necessità di allargare la base degli agonisti sono d’accordo con lei. Purtroppo dopo la scomparsa del tennis dalle tv in chiaro c’è stato un calo marcato a fine 2000. Tuttavia negli ultimi 4 o 5 anni si registra una ripresa (i tesserati agonisti under 18 sono in aumento costante) e c’è un rinnovato interesse per il nostro sport.
Sul fatto che nelle Academies e nei circoli importanti i campi veloci ci sono, sono d’accordo fino ad un certo punto: ci sono soprattutto al nord, mentre al centrosud la situazione è drammatica.
E poi il punto è che le gare, quelle importanti i nostri giovani le giocano quasi solo sul rosso. E purtroppo sono le gare, nella nostra mentalità errata, che fungono da parametro prestativo per la formazione dei giocatori.
Bisogna far giocare più tornei giovanili anche importanti sul veloce. Non basta allenarcisi sopra.
Infine, vorrei dirle che sono ben consapevole che questo progetto non è, da solo, la panacea dei nostri problemi.
Però è un buon inizio, e dire “si però… bisogna prima fare questo questo e questo… vuol dire rischiare di continuare a non fare nulla.. 😉
Cordiali saluti e grazie per gli ottimi spunti.
caro comentucci
detto che l’articolo è molto apprezzabile ci sono alcune osservazioni che vorrei fare
Lei ha dimenticato di dare alcuni numeri importanti :
il numero di agonisti in ciascun paese
il numero di Academy e non di SAT
vedrà che immediatamente la forbice diventa ancora più evidente
vorrei ricordarle che nei centri federali , in tutte le academy e nella maggior parte dei grandi circoli che poi sono quelli nei quali passono il 99% dei bambini/ragazzi più promettenti , i campi veloci ci sono e ci sono sempre stati. Questo è un falso problema .
A mio avviso invece ci sono TRE travi prima di questa pagliuzza
La prima riguarda le scuole di base che sono dei ricreatori e non scuole di sport, la seconda riguarda la metodologia e la didattica sempre per la scuola di base della quale in questi anni si è occupata solo l’associazione R.I.T.A. ; se il numero di agonisti veri non aumenta è difficile produrre più di quanto si sta facendo
Infine , Lei attribuisce la scarsa capacità di giocare i colpi di apertura del gioco , servizio e risposta a maestri , genitori , dirigenti che rincorrono le vittorie immediate
La colpa è invece della Federazione che obbliga un bambino di 8 anni e un giorno a disputare competizioni sul campo standard
Nessuna Federazione del CONI fa giocare bambini di 8-9-10 anni in condizioni standard
Provi ad immaginarsi i migliori under 10 italiani che giocano su di un campo MIDI che rispetti le loro caratteristiche antropometriche e vedrà che dopo qualche mese il servizio e la risposta avranno le caratteristiche di quelle dei campioni
Mio figlio ha seguito il progetto Rinascita di R.I.T.A. e pur essendo scarso ( 4.1 a 16anni ) strategicamente serve e risponde come i migliori giocatori del mondo .
Ho visto che LUCA BOTTAZZI ha mandato un post a FURLAN nel sito della Federazione , credo sia giunto il momento di contattarlo e farsi dare una mano per imboccare finalmente la strada maestra
buon lavoro
Qui al nord i campi sono quasi tutti in cemento o indoor.
Eppure non mi sembra che stiamo sfornando top 10 di Aosta, Lecco, Sondrio, Domodossola etc. etc.
Caro Alvaro. E’ ovvio che la Spagna ha un movimento, una mentalità e una tradizione molto superiori ai nostri. Hanno tanti ex giocatori che sono divntati ottimi coach, avendo saputo abbinare cognizioni pratiche, esperienze sul campo e studi teorici. Gente di valore.
Tuttavia, anche sotto il prfilo infrastrutturale sono molto avanti a noi. Come scrivevo nel mio pezzo, in Spagna hanno 7 campi veloci per uno nostro. Gli spagnoli da giovani giocano sul veloce molto più dei nostri, tanto è vero che sul rapido organizzano oltre il 30% dei loro tornei minori.
I loro circoli hanno coniugato meglio dei nostri le esigenze dei soci terraioli e quelle dei giovani agonisti. Hanno fatto scelte più lungimiranti e costruito anche tanti campi rapidi.
E a partire dai una quindicina di anni fa la loro scuola tecnica si è evoluta: hanno capito da che parte andava il tennis e si sono adeguati, iniziando a sfornare tennisti molto più moderni e completi (Verdasco, Lopez, Robredo, Ferrero, Ferrer) di quelli che costruivano una generazione fa (Bruguera, Berasategui, Arrese, Roig, David Sanchez etc…).
Quelli di allora erano terraioli puri. Quelli di adesso sono moderni giocatori a tutto campo.
Dobbiamo recuperare il tempo perduto.
Caro Comentucci, questa volta la domanda la pongo espressamente a Lei:”perche i giocatori spagnoli, e non parlo di Nadal espressione massima del tennis, parlo di Ferrer, Ferrero, Almagro ecc.ecc che si allenano in Spagna, dove mi pare che non ci sia una grandissima differenza con l’Italia, riescono bene anche nei campi veloci tra le altre cose pur non avendo un fisico bestiale? Non la sfiora minimamente il pensiero che anche a livello di Federazione ci sia stato e ci sia qualche errore? Alvaro.
Articolo perfetto e progetto sacrosanto: se la Fit si avalesse di più e più spesso di persone così competenti en guadagnerebbe certamente tutto il movimento tennistico italiano
infatti…
sono daccordissimo!!
io, che sono un modestissimo ’95 con classifica pari a 4-4, preferisco giocare sempre con tanta rotazione, poichè quando vado a giocare i tornei, che sono quasi tutti sulla terra, rende di più. Viceversa, rischiare e stare sulla linea di fondo mi sembra quasi inutile, perchè, sempre in torneo, quando il braccio non viaggia spedito ma è rallentato dalla tensione psicologica, si sbaglia di più e quindi, perdiamo contro avversari che si limitano a tenere la palla in campo…..
Caro Renato, grazie per il tuo contributo.
Faccio qualche piccola precisazione. La diffidenza dei soci nei confronti dei campi veloci è basata quasi ovunque sulle sensazioni e le esperienze vissute sulle suprfici di 30 anni fa, quali il mateco, quelle siu davvero obsolete, dure, scomode e grandi consumatrici di palline e di scarpe.
Nel frattempo, sono passati 30 anni, ma noi non ce ne siamo accorti, perché in Italia i nuovi campi praticamente non sono mai arrivati.
I campi di ultima generazione sono infinitamente più morbidi e confortevoli, anche per i 50enni. E consumano molto meno palle e scarpe. Infine, sono più fruibili, perché soffrono meno gli agenti atmosferici, non gelano e asciugano prima.
Infine, consentono un notevole risparmio di costi, visto che la manutenzione di un campo in terra, fra mano d’opera, pozzolana, sale righe e acqua costa da 5 a 8000 euro l’anno.
In Francia, in spagna, in Germania e negli USA i soci giocano tranquillamente sul veloce, perché ci sono abituati.
Il fatto è che nel tennis le infrastrutture per il tennis ricreativo e quello agonistico di fatto coincidono, all’interno dei circoli. E quindi le esigenze del tennis ricreativo non devono più soffocare quelle dei giovani agonisti. O non ne verremo più fuori.
Preferiremo il doppietto dei commendatori 60enni o cercheremo la costruzione di giovani campioni?
Sceglieremo ancora una volta il passato, o imboccheremo risoluti la via che porta al futuro?
Dipende solo da noi.
azz! si torna in A solo al 40/45% 🙁 🙄 👿 😥 😕
Ottimo articolo senz’altro. La situazione è quella e bisogna adeguarsi per quanto concerne la preparazione dei futuri campioncini.
Rimango comunque del parere di Panatta che discorda e per il quale “la terra è la superficie ideale per giocare a tennis”; bisogna quindi saper scindere i due discorsi antitetici, ma validi entrambi a seconda del contesto.
Contesto 1. i soci, “eterni quarta cat.” che però tengono su il sistema.
Contesto 2. i giovani da costruire per un futuro ad altissimi livelli.
Per i primi varrà il favore nei confronti della terra; oltre ai discorsi sui tendini, aggiungerei il fatto che la palla lascia il segno…e non è cosa da poco, visto che: l’occhio di falco e i giudici di sedia e di linea possono stare solo a quelli “altissimi livelli” e d’altronde, uno sport nel quale non si ha neanche la certezza di aver fatto il punto o meno può lasciare perplesso il praticante (non sempre si può contare sulla signorilità che dovrebbe essere insita nel TENNIS e comunque basarsi su signorilità e non su tecnologia è sempre più difficile col passar del tempo…evito di approfondire eventualità tipo prepotenze, liti…).
Per i secondi varrà il favore per il campo “duro” che ha meno costi e non solo di manutenzione per gli enti o circoli che vogliano costruirlo. Però, secondo me, non avere molti campi in duro dipende dal fatto che il tennis non ha avuto sinora abbastanza “adepti italici” e non da una cultura terraiola. Tantissimi campi in asfalto, fra i pochi 1000 che abbiamo, sono andati in rovina senza che siano quasi mai stati “calcati”. Non ho dati precisi, ma mi baso su osservazioni rilevate a Rimini da studente e in alcuni comuni della Sardegna centrale dove vivo.
Sul duro si costruiscono i campioni del futuro, ma non ha lo stesso fascino e non ispira troppo l’italiano medio così preso da un altro sport “cannibale”…
Sul duro il consumo di palline e scarpe è qualcosa di quasi improponibile salvo essere piuttosto abbienti… Ma è forse più questo che non il costo strutturale il motivo principale della sua diffusione? Non ci sarà lo zampino anche qui dei produttori che hanno tutto l’interesse a che scarpe e paline si consumino prima???.
L’erba sintetica è la soluzione a quest’ultimo problema e a quello fondamentale da cui siamo partiti, non al secondo (la certezza del punto).
Dovrebbe essere, quindi, quella più conveniente per chi pensa di fare un campo da tennis oggigiorno (lo dico un po’ a malincuore perché se non ci sei abituato sembra quasi un altro sport ed è molto meno divertente rispetto alle altre).
Redazione, è uscito il sorteggio per i play-off di Davis. Si va in Svezia!!!!
Inoltre (tratto dall’articolo di commentucci):
Paese Popolazione Totale campi Di cui in veloce
Germania 82 mln. 48000 10000
Francia 62 mln. 33000 15000
Spagna 47 mln. 18000 7000
Italia 60 mln. 10000 < di 1.000
Anno 2009. Fonte: Federazioni nazionali – campi di proprietà dei circoli affiliati.
Lasciando da parte il minore sviluppo complessivo del nostro movimento, che promana da motivazioni profonde di ordine storico, culturale e sociale, quel che spicca nel confronto è l’obsoleta vocazione terracentrica nella nostra dotazione infrastrutturale (i presunti terraioli spagnoli hanno 7 campi veloci per uno nostro!) che si riflette ovviamente sull’organizzazione delle gare.
Ti rispondo con le parole di Potito Starace dopo essere stato eliminato ai primo turno degli Australian 2010 (insieme agli altri azzurri):
“la verità è che il mondo ha imparato a giocare a tennis e noi no”.
Non sono solo gli spagnoli, ma anche tedeschi e francesi fanno la loro figura in tutte le superfici e, vedi belgrado, sulla terra non vedevo da tempi una finale americana (querrey-isner)
Scusate la mia ignoranza e la mia domanda da profano: ma gli spagnoli che stravincono sulla terra non vanno piuttosto bene anche nelle altre superfici? Alvaro.
Sì, credo anche io che il tennis debba dividersi in due mondi ben distinti: quello dei soci e degli amatori (i quarta “per sempre”) e quello dei giovani agonisti.
Il punto è: chi può/deve finanziare questa scissione? Non credo che i circoli abbiano la forza e la volontà economica necessarie, anche perché finanziati dai soci che preferiscono (storicamente e tendineamente) la terra.
Sarà interessante conoscere la volontà partecipativa della FIT, che spero non si limiti a far praticare sconti (pratica commerciale normale) e far prestare i soldi (attività normalemente praticata da qualsiasi banca).
Progetti economicamente premianti per i circoli più virtuosi/produttivi?
Abbandono del “piccolo è sempre bello” e stimolo del “piccolo è bello solo se attira campioncini capillarmente sul territorio”.
Chi Comentuci? ma è un dirigente Fit? perchè la fit da venti anni non produce un campione. bisogna privatizzare tutto anche la fit che costa troppi soldi a tutti noi
Complimeti a Commentucci.
Non abbiamo risolto oggi i problemi del tennis italiano ma questo è il modo di affrontarli.
Analizzando con competenza e proponendo delle soluzioni.
Molto, molto interessante.
Articolo davvero ben fatto.
Ogni tanto in FIT, si ritorna a pensare a qualcosa di costruttivo per tutto il nostro movimento. Se ci sarà questa inversione di tendenza mi aspetto che essa avvenga entro 6-8 anni al massimo perchè tempo ne richiede non poco.
Riguardo al discorso fatto sui maestri, condivido in pieno quanto detto, perchè nelle SAT italiane non si sono fatti passi avanti, a discapito dei ragazzi che, alle prime esperienze estere iniziano a capire davvero come ci si gioca in questo sport.
Poi riguardo i campionati a squadre, è giusto farli ma ridurrei innanzitutto il numero di squadre (e quindi di partite, e quindi di domeniche sul campo) e poi inviterei i maestri di giovani promettenti ad evitare che un Federico Gaio giochi in serie B a Faenza, ma che faccia le qualificazioni di futures o challenger.
E se la giustificazione è che spesso i campionati a squadre sono utilissimi per entrate finanziare ai tennisti, vuol dire che la logica di questo sistema è al quanto sbagliata.
Me lo sono letto tutto: complimenti per l’articolo!
Comunque secondo me anche giocare di più i tornei di doppio può aiutare ad acquisire quell’aggressività sui primi colpi che manca in generale ai tennisti italiani.
Un’ analisi completa e di alto contenuto qualitativo.
complimenti per l’articolo….in un mondo sempre più dei cialtroni fa piacere vedere una persona documentata e professionale.