
La “maledizione” del premio Allenatore dell’Anno WTA: quando il riconoscimento porta alla separazione


C’è qualcosa di strano che accade con il premio “Allenatore dell’Anno” della WTA. Questo prestigioso riconoscimento sembra portare con sé una sorta di maledizione, visto che tutti i tecnici che l’hanno ricevuto hanno finito per separarsi dalle loro giocatrici nel giro di pochi mesi.
L’ultimo caso è quello di Renzo Furlan, premiato per il suo lavoro con Jasmine Paolini, ma che ha concluso la collaborazione con la tennista italiana poco dopo aver ricevuto il riconoscimento. Tuttavia, questo schema inquietante non è certo una novità nel circuito femminile.
Nel 2023, il premio era stato assegnato a Tomasz Wiktorowski, all’epoca allenatore della numero uno al mondo Iga Swiatek, ma anche questa collaborazione è giunta al termine poco dopo. Lo stesso è accaduto nel 2022 con David Witt, che aveva ricevuto il premio per il suo lavoro con Jessica Pegula.
Andando ancora più indietro, nel 2021 la premiata fu Conchita Martínez per la sua straordinaria stagione con Garbiñe Muguruza, ma anche in questo caso la spagnola ha subito la stessa sorte degli altri allenatori citati, con la separazione che è arrivata a breve distanza dal riconoscimento.
Nel 2020, un altro allenatore di Swiatek, Piotr Sierzputowski, ha ricevuto il premio, mentre nel 2019 il riconoscimento è andato a Craig Tizzer, tecnico di Ashleigh Barty. Nel 2018, invece, è stato Sascha Bajin, allora coach di Naomi Osaka, a vincere il titolo di miglior allenatore dell’anno.
In tutti questi casi, il pattern si è ripetuto con impressionante regolarità: premio, celebrazioni e poi separazione. Una coincidenza che ormai sembra troppo sistematica per essere considerata casuale.
Resta da vedere chi riceverà il premio di Allenatore dell’Anno WTA nella prossima edizione e, soprattutto, quanto durerà la collaborazione con la propria giocatrice dopo il riconoscimento. Per ora, il premio sembra essere diventato più un presagio di fine collaborazione che un motivo di festeggiamento.
Francesco Paolo Villarico
TAG: Jasmine Paolini, Renzo Furlan
Le lingue sono destinate a contaminarsi l’una con l’altra, succede da quando esiste l’uomo. Il Fatto che la contaminazione avvenga dalla lingua che conta di più a quella che conta di meno è pure un fatto naturale, quasi biologico. L’atteggiamento di “difendere” il lessico della propria lingua madre è un po’, come dire… inutile. Tra l’altro è da rilevare, specularmente, che la diffusione di un “basic english” in tutto il pianeta è vista dai “difensori” dell’inglese quello vero, che poi sono gli inglesi e gli americani con cultura superiore alla media, come un imbarbarimento inaccettabile. Siamo tutti nella stessa barca.
Davvero curiosa questa cosa.
Un caso?
Io questo non creto
Ma veramente non si riesce a trovare una parola italiana per esprimere ‘pattern’?
Mi sembra che si usi la lingua inglese solo per colmare i buchi di conoscenza della nostra lingua. Mi midppiace la per questa parola pattern l’inglese è la lingua internazionale. Pattern vuol dire patterno.
Ma veramente non si riesce a trovare una parola italiana per esprimere ‘pattern’?
Mi sembra che si usi la lingua inglese solo per colmare i buchi di conoscenza della nostra lingua. Mi midppiace la per questa parola pattern l’inglese è la lingua internazionale. Pattern vuol dire patterno.
Rivolgiti direttamente a lui
La soluzione l’ha già trovata l’inventore della lingua a senso unico alternato.
Le voglio bene, ma sappia che questa è una battaglia già persa.
Nondimeno, vale la pena combatterla fino in fondo.
comunque meglio usare l’inglese di usare “terminologie” al posto di “parole”
E’ una moda ormai usare le parole inglesi in vari contesti del linguaggio, ma noi che li usiamo siamo le vittime, ci viene imposto dal sistema. In uno dei miei settori di lavoro (estimo) ho imparato a scuola terminologie italiane e mi sono ritrovato nel tempo a studiare le stesse cose con terminologie inglesi…Dovremmo tutelare di più la nostra amata lingua.
Ma veramente non si riesce a trovare una parola italiana per esprimere ‘pattern’?
Mi sembra che si usi la lingua inglese solo per colmare i buchi di conoscenza della nostra lingua.