Addio a Neale Fraser
“Il tennis australiano ha perso uno dei suoi giganti con la scomparsa di Neale Fraser”. Così Tennis Australia comunica la morte di una leggenda del tennis nazionale, deceduto a 91 anni nella sua Melbourne. Fu tre volte campione Slam in singolare (Wimbledon 1960, US Open 1959 e 1960) oltre a moltissimi titoli in doppio, per un totale di 19 successi Major nella varie categorie, ma è in Davis Cup che Fraser scrisse la sua leggenda prima da giocatore e poi da capitano. “Non potrei mai pensare a niente di meglio che rappresentare il tuo paese”, diceva spesso Fraser.
Mosse i primi passi da giocatore sui campi in terra battuta accanto alla sua casa d’infanzia a Melbourne e si costruì un gioco basato su un micidiale servizio mancino. Da appassionato di cricket, aveva studiato come i giocatori muovevano il polso per generare diversi effetti, e riuscì ad applicare questo concetto al tennis, che nel suo paese definirono “googly” (che si può tradurre in questo contesto come “non leggibile”).
Uscì alla ribalta durante l’epoca d’oro del tennis maschile australiano, quindi inizialmente Fraser non riuscì a entrare nella squadra della Coppa Davis e perse tre volte nelle finali di singolare Slam, tra cui due volte contro il caro amico Ashley Cooper, prima agli Australian Championships del 1957 e a Wimbledon nel 1958. La sua perseveranza diede i suoi frutti nel 1959 quando compì l’impresa di vincere tutti e tre i titoli a Forest Hills, singolare, doppio e doppio misto, e fu decisivo a portare l’Australia alla vittoria in Coppa Davis.
Nel 1960 Fraser sconfisse Rod Laver a Wimbledon e vinse finalmente il titolo dei Championships. per poi vincere di nuovo i tre titoli a New York. Uno dei suoi partner di doppio, Roy Emerson, descrisse Fraser come “un generale” in campo per la sua grande leadership e visione di gioco.
In un periodo dominato dalla spaccatura tra tennis professionistico e dilettantistico, Fraser si distinse dalla maggior parte dei suoi colleghi decidendo di non accettare le lusinghe e dollari del tour “Pro”, visto che il suo sogno era quello di succedere a Hopman come capitano australiano in Davis Cup. Lo divenne nel 1970 e rimase in carica fino al 1993, guidando per 24 stagioni la squadra “green and gold” nel torneo nazionale a squadre, estremamente sentito nel suo paese, durante le quali l’Australia vinse il titolo quattro volte.
Per intere generazioni Fraser fu molto più di un coach o capitano di Davis, era un punto di riferimento ed ispirazione. “Era come un padre per me”, afferma Pat Cash, “Sapeva come farti sentire importante e giocare al meglio”. Così lo ricorda il compagno Rod Laver, in post sul social X. “Sono profondamente addolorato nell’apprendere della scomparsa del mio caro amico e compagno mancino, Neale Fraser. Era una vera gemma in un’epoca d’oro di leggende del tennis australiano: un incredibile numero 1 al mondo, un campione del Grande Slam e un’icona della Coppa Davis. Neale mi ha battuto in 2 finali importanti, spingendomi a diventare un giocatore migliore. Le mie più sentite condoglianze vanno a Thea e alla famiglia allargata di Neale. Mi mancherai moltissimo, amico. Riposa in pace”
I am deeply saddened to hear of the passing of my dear mate and fellow lefty, Neale Fraser. He was a true gem in a golden era of Australian tennis legends – an incredible World No.1, a Grand Slam champion, and a Davis Cup icon. Neale bested me in 2 major finals, pushing me to… pic.twitter.com/B4cVLEnRUk
— Rod Laver (@rodlaver) December 3, 2024
Fraser è stato inserito nell’International Tennis Hall of Fame nel 1984 e nell’Australian Tennis Hall of Fame nel 1994. Nel 2008 Fraser ha ricevuto il premio Philippe Chatrier dell’ITF per i suoi straordinari risultati nel tennis.
Marco Mazzoni
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Impressionante vedere che veniva servita la prima tenendo in mano entrambe le palle.
Beh, dipende quanti vuoi definire leggende. 10? 100? In un caso forse non ci rientra, nell altro si.
Poi comunque quest articolo ci ricorda come ai tempi la Davis fosse piú importante degli slam e che i migliori si scannavano pure nei doppi,quindi confrontare le carriere solo sulla base di un 24 a 3 a favore di Djokovic non é la cosa migliore.
Infine qui si celebra uno che fra giocatore e capitano della “vera” Davis (senza nulla togliere a quella odierna) é stato sulla breccia per quaranta anni
Erano leggende come lo sono diventati quelli delle epoche successive. Il fatto che non ci fosse troppa esposizione mediatica, li rende ancora più leggendari perchè di loro non si è visto tutto, ma si è narrato. Un po’ come i 100 punti di Chamberlain in NBA di cui praticamente non esiste memoria visiva perchè la partita non era trasmessa in tv. La narrazione aumenta la leggenda di certe imprese sportive.
Primo minuto del video. Guardo battere Laver e penso che se giocasse ai giorni nostri sarebbe comunque un grande campione. Una scioltezza incredibile e la palla viaggiava, dati gli attrezzi… Altra cosa, faceva solo serve and volley, quindi sempre corse in avanti. Tempo trascorso tra la fine di uno scambio e l’inizio di quello successivo, circa 5 secondi. Adesso anche dopo un ace vanno ad asciugarsi, scelgono due palline su 6, palleggiano 16 volte e si lamentano se i 25 secondi partono in automatico.
@ Betafasan (#4271288)
Ma cosa c’entra? C’entra quanto ha inciso nella sua epoca, non in questa. Quindi una leggenda.
Era un aussie atipico, nato sui campi in terra battuta. Un grande.
Con la mitica racchetta di legno Slazenger… 🙂 🙂
Ne ho trovata una integra in un mercatino …
Leggenda mi sembra esagerato! Rispetto a SAMPRAS, FEDERER, DJOKOVIC, Nadal ad esempio allora?!
Come tutti i grandi di quell’epoca, i ricordi che ho su di lui sono filtrati dalla penna di Gianni Clerici, e dunque assolutamente legati a una dimensione romantica. Consiglio a tutti di leggersi il volume “Wimbledon” di Clerici, una raccolta straordinaria e preziosissima dei suoi resoconti di giornale da fine anni 50 a tardi anni 2000. Fraser, come i suoi coevi Laver, Hoad, Rosewall, Gonzalez ecc. compare in quelle pagine tratteggiato come quegli eroi del mito (tanto grandi quanto umani) che forse, in fondo, erano davvero.