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ITIA sul caso Sinner: “Wada ha diritto ad appello, ma il processo è stato condotto secondo le linee guida del Codice mondiale antidoping”

30/09/2024 14:01 101 commenti
ITIA
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L’ITIA (International Tennis Integrity Agency) ha pubblicato oggi sul sito ufficiale una breve dichiarazione in merito alla decisione della WADA di appellarsi contro la decisione del tribunale indipendente sul “caso Clostebol” che ha visto suo malgrado protagonista Jannik Sinner. ITIA in pratica ritiene legittima la mossa della WADA, ma ribadisce la bontà e correttezza del proprio operato, svolto pienamente secondo le norme vigenti e quindi restando ferma sulla conclusione positiva del procedimento a carico dell’italiano, scagionato totalmente da ogni accusa.

“L’International Tennis Integrity Agency (ITIA) riconosce la decisione dell’Agenzia mondiale antidoping (WADA) di appellarsi alla sentenza di No Fault or Negligence nel caso del tennista italiano Jannik Sinner, emessa da un tribunale indipendente nominato da Sport Resolutions il 19 agosto 2024. Ai sensi del Codice mondiale antidoping, la WADA ha il diritto finale di appellarsi a tutte queste decisioni.

Dopo aver raggiunto una serie di fatti concordati a seguito di un approfondito processo investigativo, il caso è stato deferito a un tribunale completamente indipendente dall’ITIA per determinare il livello di colpa e quindi sanzionare a causa dell’insieme unico di circostanze e della mancanza di precedenti comparabili. Il processo è stato condotto secondo le linee guida del Codice mondiale antidoping; tuttavia, l’ITIA riconosce e rispetta il diritto della WADA di appellarsi alla decisione del tribunale indipendente presso la Corte arbitrale dello sport.”

Mario Cecchi

 


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Aquila (Guest) 01-10-2024 07:04

Scritto da Pippo Anzighi
No, ragazzi, la questione è molto più sottile e riguarda esclusivamente l’interpretazione del famoso art. 10.5 del TADP. Questo articolo sostanzialmente dice che il giudice può azzerare la squalifica (cioè non squalificare) l’atleta che non ha nessuna colpa né negligenza e che non poteva evitare, nemmeno usando la massima attenzione, di essere contaminato dalla sostanza proibita.
Ora, non è vero come molti sostengono che l’atleta è SEMPRE oggettivamente responsabile dell’operato del suo team. Il problema è che esiste un “commento” all’art. 10.5, contenuto nel codice mondiale antidoping, secondo cui l’atleta non può mai invocare l’art. 10.5 a sua difesa (e quindi evitare la squalifica) in una serie limitata di casi eccezionali: quello che qui ci interessa è quando la sostanza viene “somministrata” dall’allenatore o dal medico dell’atleta. In questo caso il “commento” dice che l’atleta non può invocare la sua assenza di colpa o negligenza e quindi, non potendosi applicare l’art. 10.5, scatta sempre una squalifica ai sensi dell’art. 10.6 (in teoria potrebbe scattare la sola reprimenda, ma questa è di scarsa o nulla applicazione). Solo in questa limitata ipotesi si può parlare di responsabilità oggettiva dell’atleta per la “somministrazione” della sostanza da parte dei membri del suo team.
Il tribunale indipendente infatti ha assolto Sinner perché ha ritenuto, conformemente al significato letterale della parola, che Naldi non abbia “somministrato” un bel niente a Sinner, ma lo abbia contaminato accidentalmente massaggiandolo, e che quindi era applicabile al caso l’art. 10.5.
Infatti Naldi ha somministrato il farmaco Trofodermin a sé stesso e non a Jannik. Se lo avesse somministrato a Jannik per curare le sue micro ferite, non ci sarebbe stato nulla da fare (vedi caso della sciatrice norvegese Therese Johaug), e la squalifica sarebbe stata inevitabile, perché l’atleta risponde di quello che gli somministra il suo medico (anche se Naldi non è un medico, ma il tribunale qui ha adottato una interpretazione estensiva del termine “medico”).
La WADA pertanto chiede al TAS di interpretare estensivamente tale eccezione, facendo rientrare nel concetto di “somministrazione” qualunque passaggio di sostanza, anche una mera contaminazione accidentale, causata da un membro dello staff dell’atleta. La differenza con il ristorante è che li il cibo è somministrato dal cuoco o dal cameriere, e non da un membro dello staff, pertanto l’art. 10.5 rimane pacificamente applicabile.
Tale interpretazione proposta dalla WADA, oltre che contra legem, sarebbe particolarmente pericolosa e inopportuna, perciò speriamo che il TAS la respinga, anche perché le eccezioni si applicano solo ai casi espressamente previsti e non sono suscettibili di interpretazioni estensive o analogiche.

Ottimo articolo

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