È ll talento che logora il talento?
Chi frequenta i circoli di tennis, o si diverte nel cercare di individuare il futuro astro nascente della racchetta, sicuramente si sarà imbattuto/a almeno una volta in una discussione su chi sia il giocatore o la giocatrice con più talento.
Ma cosa è il talento, e perché di solito è ritenuto l’ingrediente più importante per il successo nello sport?
Il Vocabolario Treccani descrive il talento come “ingegno, predisposizione, capacità e doti intellettuali rilevanti, specialmente in quanto naturali e intese a particolari attività”.
Nel tennis, dietro l’idea del talento, si potrebbe dunque nascondere la convinzione che un giocatore o una giocatrice posseggano la predisposizione o le doti naturali per avere successo. Ma esiste davvero questa correlazione?
Quando Gianluigi Quinzi vinse Wimbledon juniores nel 2013 furono in molti a parlare di predestinato. Otto anni dopo si ritirò dal circuito pro con un best ranking di 142 al mondo.
In una statistica pubblicata il 14 giugno 2019 su HiddenGameOfTennis, veniva indicato come negli ultimi trent’anni, solo cinque giocatori che avevano vinto uno Slam juniores si sarebbero poi ripetuti nel circuito maggiore .
Addirittura meno della metà dei campioni Slam juniores avrebbe vinto anche un solo torneo nel circuito maggiore.
Sembra dunque che il percorso di Quinzi non fu un’anomalia, ma un evento statisticamente “prevedibile”.
Verrebbe dunque da chiedersi il perché, ammettendo l’esistenza di una predisposizione “naturale” a uno sport come il tennis, la maggior parte dei giocatori o delle giocatrici in grado di raggiungere grandi risultati nel circuito juniores, tendano a non replicare tali conquiste nel circuito maggiore?
Da cosa può dipendere questa mancanza di continuità?
Dovremmo forse persuaderci che il concetto stesso di talento non sia altro che un semplice pregiudizio, e quindi un’ opinione concepita sulla base di convinzioni personali poco attendibili?
O magari pensare che i giocatori o le giocatrici talentuose siano solo coloro che hanno avuto uno sviluppo fisico anticipato, in grado di fornire un vantaggio iniziale che però tende a disperdersi con la crescita? Probabilmente entrambe le supposizioni possono essere verosimili, ma c’è un altro aspetto che spesso non viene considerato, e che può darci un’ulteriore chiave di lettura: è altresì possibile che la stessa etichetta di talento possa avere ripercussioni negative su coloro che ne portano il “peso”, deviandone in qualche modo il percorso di crescita?
In uno studio di Mueller e Dweck(1998), a un gruppo di persone vennero somministrati alcuni compiti di logica. Successivamente, una parte dei soggetti che avevano completato con successo il compito vennero elogiati per l’intelligenza, mentre un secondo gruppo, che rappresentava il gruppo di controllo, venne invece elogiato per l’impegno profuso.
Sorprendentemente, chi ricevette elogi per l’intelligenza, rifiutò con maggiore frequenza la richiesta di eseguire un secondo compito, per evitare il rischio che il primo giudizio venisse disconfermato.
Al contrario, gli individui che avevano ricevuto complimenti per il loro impegno al compito, risultavano più propensi ad affrontare anche una seconda prova.
Successivamente, viste le reazioni, gli sperimentatori proposero volutamente dei quiz di logica molto più complessi per indurre tutti i partecipanti al fallimento.
Si notò che gli appartenenti al primo gruppo, cioè chi aveva ricevuto i complimenti per la sua intelligenza, di fronte alla mancata risoluzione del compito, tendeva a percepirsi meno intelligente rispetto al gruppo di controllo, che come detto aveva ricevuto i complimenti per gli sforzi messi in atto durante la prova. Il primo gruppo presentava inoltre meno piacere nello svolgere il compito.
In ultimo, chi aveva ricevuto elogi per l’intelligenza, mostrava una predilezione per gli esercizi più semplici, preferendo la possibilità di potersi mostrare nuovamente capace; al contrario, chi aveva ricevuto elogi per lo sforzo, era maggiorente attratto dai compiti più complessi, perché rappresentavano un nuovo stimolo ad imparare.
In sintesi , chi era stato etichettato come intelligente, tendeva a considerarsi, in seguito a un “fallimento”, non sufficientemente dotato, mettendo in discussione la propria intelligenza, con conseguente perdita di interesse e motivazione verso il compito, rispetto al gruppo di controllo.
Se trasferiamo i risultati di questo esperimento in ambito sportivo e riprendiamo la nostra ipotesi iniziale, potremmo quindi supporre che anche l’etichetta di “talento” possa predisporre un giocatore o una giocatrice a sviluppare una mentalità rigida, che lo/a porti a essere meno incline a tollerare errori o sbavature, a digerire le sconfitte, e a non sviluppare la propensione al sacrificio, caratteristica necessaria per avere un successo duraturo.
L’atleta considerato/a talentuoso/a, di conseguenza, potrebbe valutare erroneamente la fatica o le difficoltà nel raggiungere gli obiettivi prefissati, perché verrebbero percepite come elementi in contrapposizione con la concezione stessa di “avere talento” -che quindi rischierebbe di essere messa in discussione- amplificando il senso di frustrazione, la perdita di autostima e di motivazione.
In altre parole, per chi è stato sempre considerato un talento, il concetto stesso di sforzarsi per colmare una lacuna potrebbe essere vissuto negativamente, determinando una progressiva perdita di interesse, impegno e divertimento nella pratica sportiva man mano che la fiducia in sé diminuisce.
Al contrario, il giocatore o la giocatrice che hanno sviluppato una mentalità dedita al sacrificio, potrebbero considerare una situazione di difficoltà come parte del processo di crescita, cogliendo nelle battute d’arresto un ulteriore stimolo per migliorare.
Per concludere, sottolineare e rinforzare caratteristiche come l’impegno e la costanza, valorizzando lo sforzo, senza focalizzarsi sul possedere o meno una caratteristica inalterabile come il talento, potrebbe spingere l’individuo ad avere un approccio propositivo di fronte alle nuove sfide, migliorando la capacità di gestire la frustrazione di fronte alle difficoltà, fino al raggiungimento del suo pieno potenziale.
Buon tennis.
Marco Caocci
Psicologo
TAG: tennis e psiche, Tennis e Psicologia
@ Fabio (#3656781)
Grazie a te,Fabio
Il talento logora chi non ce l’ha è già stato detto?
Concordo.
E lo stesso vale per l’eleganza e lo stile.
Spesso, a essere definiti talentuosi, sono quelli che esibiscono un gioco ”bello da vedere”…
Appunto per quello, molti, quando si parla dei big3, preferiscono Roger agli altri 2, che non erano stilosi come lo svizzero, ma praticavano ( praticano tuttora ) un tennis estremamente efficiente, senza troppi fronzoli. Ma indubbiamente, anche chi pratica un tennis ” concreto” deve necessariamente essere dotato di talento…
altri esempi?
Medvedev? ha talento o no? visivamente appare sgraziato. Ha un tennis noioso ( per me ) che non ti invoglia quanto un Musetti, un Rune o uno Shapovalov…ma ecco, Shapovalov, uno sicuramente dotato di tennis bello da vedere, ma possiamo definirlo piu talentuoso di Medvedev? kyrgios o fognini, i cosidetti genio e sgregolatezza, sono piu talentuosi di giocatori solidi che hanno vinto molto di piu?
Attenzione, però….Quinzi è andato regredendo e ha perso fiducia via via, ma non è che non fosse competitivo a livello “pro”.
Rammento una partita a San Marino giocata alla pari con Volandri (all’epoca ancora competitivo) a 17 anni; era un ragazzo che nei 50 poteva arrivarci, anche impostando la sua carriera solo sulla terra….é ovvio che, però, le aspettative erano altre e questo fattore lo ha lentamente frustrato, ma il tennis per sfondare (relativamente, non certo come “messia”) a livello maggiore, il ragazzo lo aveva eccome (gran rovescio, gran pressione da fondo, fisico ok).
Anche da parte mia, grazie al dr. Caocci, le sue osservazioni sul diverso riscontro che arriva nel “complimentarsi” con un tennista per l’impegno, oppure per il talento, trovo siano potenzialmente applicabilissime pure nella vita ordinaria, magari con i bambini dotati, ai quali non sarebbe buona cosa dare continui feedback di intelligenza e di bravura (come io ho l’abitudine, o forse il vizio?, di fare con il nipotino).
Prendo nota e metto in pratica, vedremo i risultati.
E perché non ci sei andato?
Due talenti strarovinatisi attualmente sono Cressy e Bellier, più che altro a livello tattico: a livello prettamente comportamentale Gulbis e Tomic, nel secondo c’é anche dell’altro…
A me Seppi piaceva molto. Come hai detto tu ha battuto federer e Nadal . Con Nadal l’ho vista in diretta. Mi ricordo una super partita con dyokovic al quinto set a Parigi. Però in tantissime partite dominate con pari livello gli veniva un po il braccino. Berrettini è comunque l’unico con Panatta a terminare l’anno al settimo posto al mondo. Tante partite i n bilico con pari livello le ha portate a casa. Esempio l’ultima con Zverev.
Si Anch’io della carriera junior di Nadal e Djokovic mi sembra di non ricordare niente di significativo Per restare ai giovani rampanti Rune a 16 anni vinse a Parigi Per altro contro avversari ad oggi anonimi Visto che si parla sempre di Quinzi quando vinse a Wimbledon ci fu una grancassa mediatica assurda Tutti(gli incompetenti ovviamente) davano per scontato che di lì a poco avrebbe vinto chissà cosa Al di là dei suoi limiti questo lo ha sicuramente danneggiato
Pur essendo d’accordo in generale sul tuo commento faccio notare che Seppi nella sua carriera lineare ma senza grandissimi acuti ha comunque battuto sia Federer che Nadal memtre Berrettini non ha mai battuto nessuno dei primi 5 al mondo. Visto che è impossibile che li incontri sempre quando loro sono ingiocabili, credo che anche Berrettini non sia un grande esempio di giocatore dotato si killer instinct, quando i match contano davvero, ahimè.
Quinzi in realtà ha sviato tutti perchè si è detto allievo di Bollettieri e invece andava ad allenarsi in Argentina! Faceva una cosa ed era il contrario, vinceva a Wimbledon e stava sempre nei challengerini su terra. Insomma una confusione che non deponeva per una trasformazione in un pro di successo anche se poteva fare anche il top 50 con idee più chiare. Ad esempio Sinner sarà sempre il re dei capannoni alpini al chiuso e più forte su rapido (ed erbivoro se imita Seppi) ma è questo da sempre con marginali miglioramenti altrove.
Straquoto. Zero talento tennistico. Gran talento fisico. Gran predisposizione mentale. Soprattutto un botto di soldi da “buttare”. E l’ambiente favorevole alla cultura in vitro. Poi l impalcatura artefatta, che lo voleva campione, è inevitabiomenre crollata scontrandosicon la realtà, e con essa è crollata anche la predisposizione mentale. Non vorrei tirarmela, ma da me fu previsto il ritiro con grande anticipo, quando ancora c’era gente che ci credeva… D’altronde, altrimementi, che visionario sarei?
Un attimo però: affermare che Alcaraz e Becker abbiano fatto poca attività juniores sottace il fatto che a 16 anni già legnavano a livello ATP per cui sarebbe stata una retrocessione per loro tornare ai tornei giovanili quando il rosso batteva cammelloni alla Curren in finale a Wimbledon! E’ come se una under 16 vincesse i mondiali dei grandi e poi per conferma tornasse al mondialino dei bambini: sarebbe uno spreco di risorse e denaro se già incassi nel torneo maggiore! Quindi semmai avevano tanto di quel talento da battere già i forti tra gli adulti e questo è stato ancor più vero a livello femminile con sviluppo già completato presto con le tipiche fenomene sedicenni! Lo Juniores di talento dunque non è il diciottenne pompatissimo che vince di fisico ma semmai il sedicenne piccoletto ed imberbe che con due anni di anticipo ti vince umiliando gente più sviluppata fisicamente con tecnica e mentalità! Quinzi invece vinceva in quanto cammellone già alto e sviluppato fisicamente a sufficienza.
Io direi che nell’ambito della categoria Juniores la percezione del “talento” spesso può trarre in inganno, perché è un ambiente rispetto al circuito maggiore, molto meno complicato e difficile. Del resto chi è forte veramente approda direttamente nel professionismo da teenager. Come lo è stato per Nadal, Becker e recentemente Alcaraz.
Straquoto.
Però il dr non c’entra niente.
articolo molto interessante, che offre una specifica prospettiva rispetto alla “giovane promessa” e al “che fare?”
ce ne sono molte altre di prospettive, e mi sembra che chi mi ha preceduto ha già detto quasi tutto che qui riassumo in sviluppo fisico anticipato e specializzazione tattica anticipata.
cambio leggermente prospettiva, per suggerire una soluzione: togliendo i fenomeni alla sinner e alla musetti, gli altri aspiranti pro devono sapere che il passaggio da ottimo junior a tennista professionista è una traversata nel deserto: non solo difficilissima, ma che non garantisce per nulla l’arrivo perché nel deserto dell’hoobismo a tempo pieno la maggioranza si perde.
una delle soluzioni è affrontare questo percorso tenendo in mano una bussola e una cartina che consentano di non soccombere: la borsa di studio in USA.
gli allenamenti sono intensi, il livello di gioco altissimo (il rooster di UCLA nel 2016 era mcdonlad, cressy e giron per dire), e se non si raggiunge il livello necessario per giocare tra i pro si ha la totale padronanza dell’inglese, una laurea in tasca e la possibilità di lavorare in qualsiasi paese del mondo.
@ Franco66 (#3656074)
Faccio anche io un altra inetegrazione, se non erro, Nadal e Djokovic, la carriera juniores non l’hanno manco vista, a 16 anni erano già nel circuito professionisti
Sono d’accordo.
L’articolo inoltra riporta studi e considerazioni francamente tutt’altro che “sorprendenti”.
Il talento esiste, (quasi) chiunque lo sa riconoscere, e però non è, né può essere, sufficiente ad eccellere.
In tempi in cui i (futuri) campioni prendono in mano la racchetta a 2 anni, inoltre, il talento è chiaramente destinato a soccombere all’allenamento.
Il tennis è uno sport singolo e troppo complesso per ritenere il solo talento condizione sufficiente per vincere..non per niente uno solo è arrivato ad oggi a vincere 67 titoli importanti, di cui 23 Slam, e altri due a seguirlo a ruota con 22 e 20 Slam e qualche master e finals di meno..per carità, queste sono le punte di diamante uniche e forse irripetibili, ma anche il fatto che già fra di loro avessero differenze stilistiche e propensioni per superfici diverse, con il solo Nole ad adattarsi meglio a tutte (da cui i 1000 tutti vinti almeno 2 volte), dimostra che in questo sport non esiste una questione di forma, di stile, di eleganza o potenza, ma che la capacità di vincere deriva da una somma di fattori non solo fisico/tecnici ma anche e forse soprattutto mentali, di intelligenza tattica, di resistenza e di fiducia, di capacità di utilizzare le proprie risorse in funzione della situazione e dell’avversario..insomma, di bravi utilizzatori della racchetta ce ne sono tanti, di predisposti per raggiungere traguardi importanti per solidità fisica e sensibilità di mano, per forza mentale e caratteriale molti meno: il mix dei fattori sopra citati si concretizza raramente, e ancora più raramente trova stabilità nel tempo, non si illude ai primi entusiasmi, non cede alle lusinghe o ai primi sacrifici, non si demoralizza ai primi infortuni o risultati negativi
Secondo me i motivi nel tennis come in quasi tutti gli sport, sono la voglia di sacrificarsi per anni a livelli altissimi e non tutti ci riescono e sopratutto nel tennis la testa. Vi faccio due esempi del recente passato. Seppi 18 al mondo con carriera di altissimo livello. Ha disputato partite di livello altissimo con i più forti al mondo ma nella maggior parte delle volte nei punti importanti gli è mancato il killer istint. Altri giocatori nei punti importanti danno il meglio. Vedi Berrettini quando è fisicamente al 100 per cento.
Il talento, quella caratteristica che nel tennis ti consente di rendere efficaci colpi anche privi della tecnica “corretta”, è spesso un’arma a doppio taglio perché spesso illude il giovane che possa essergli sufficiente, insinuandogli il dubbio che si possa vivere di rendita. Un tempo era spesso così, ora no, il lavoro tecnico deve accompagnare quello fisico e quello mentale e ci deve sempre essere fame di vittorie. Gli esempi sono recenti ed ancora attuali.
“Talent is overrated” , libro di cui si consiglia la lettura.
Illuminante.
In generale, l’Italia è sempre stata un paese di tennisti talentuosi che poi non hanno avuto una carriera all’altezza.
Molto spesso la causa di tale mancata esplosione è dovuta al fatto che al talento andava associata una fisicità che avrebbe richiesto un grande lavoro che i talenti non hanno voluto o potuto fare.
Soprattutto se si tiene conto che molti nostri giocatori prima giocavano quasi esclusivamente sul rosso, dove la componente atletica aveva predominanza su quella tecnica.
Infine, sempre in Italia, ci sono molte alternative per i tennisti talentuosi.
Per esempio un Matteo Trevisan, che avrebbe dovuto fare una preparazione seria per giocare i challenger, ha preferto per anni girare per Open e tornei a squadre, ottenendo comunque la tranquillità economica.
Naturalmente non lo conosco di persona ma non credo non ci abbia provato, il fatto era che il suo clan era così ossessionato dal risultato immediato da non pensare in prospettiva e da non permettere di portare quelle migliorie tecniche che alla lunga avrebbero pagato ma al momento, mentre doveva interiorizzarle, avrebbero impedito di gridare al predestinato. E’ cosa nota che Piatti voleva “ribaltarlo” tecnicamente da ragazzino e la famiglia non ha voluto, quando poi ha vinto Wimbledon juniores era ormai troppo tardi, il rovescio anche se un po’ leggero era portato bene ed era un colpo naturale, il dritto si vedeva che per fare risultati importanti tra i grandi era totalmente inadeguato e non si è riusciti a metterci una pezza come in parte si è riusciti invece con Musetti (che probabilmente ha più talento innato)
Ma quando lo lascerete in pace Quinzi?
Adesso se ne interessa anche questo psicologo…
Si è ritirato che era nei primi 200 del mondo, vive la sua vita, sarà senz’altro stanco di tutta la gente che per qualsiasi stupidaggine lo tira in ballo,che cosa volete ancora da lui?
Faccio un’integrazione Nel 2019 vinse a Wimbledon il giapponese Mochizuki un mese più giovane di Alcaraz Adesso è 212 al mondo Quest’anno a Wimbledon ha superato le qualificazioni ma è uscito al primo turno Pensate 4 anni fa quanti sogni di gloria Fa quasi tristezza
Il talento è come la potenza fisica “sono nulla senza controllo” e il controllo è la testa…. Servono tutte e tre… se ne hai solo due non arriverai mai in alto.
Secondo me semplicemente il tennis moderno, quello che si gioca adesso, è un altro sport rispetto al tennis con le racchette di legno.
I Panatta e i Leconte non possono più esistere (come talento innato e poca attitudine al lavoro fisico e alla vita da atleti)
Adesso prevale il perfezionamento dei movimenti, lo sfruttamento delle possibilità date dalle racchette in termini di velocità e rotazione, e un infinito lavoro fisico per il quale serve la capacità di soffrire fuori e dentro il campo.
Ieri per esempio Dimitrov e Rune se le sono suonate con scambi terrificanti, super rincorse, sforzi fisici tremendi, pur entrambi pieni di talento. Ma alla fine vince chi rimane più lucido nonostante questi sforzi, chi riesce a tirare una palla in più.
E’ diventato uno sport di sacrificio e sofferenza, di capacità aerobiche prima che tecniche. Chi riesce ad abbinare queste capacità a quelle tecniche, alla fine prevale. Nadal e Nole esempi lampanti, ma anche Alcaraz e Rune, forse tecnicamente ancora più talentuosi, emergono per le doti fisiche e mentali straordinarie. Non mollano una palla che sia una.
Ho fatto una rapida ricerca e mi risulta che Alcaraz abbia giocato a livello junior un unico Slam Wimbledon 2019 Perse nei quarti da Martin Damm un americano di un anno più giovane In questo momento Damm è 511 al mondo In poche parole quello che fai a livello junior vale poco Dopo che Becker vinse il suo primo Wimbledon a 17 anni Rino Tommasi disse giustamente che i tornei junior ormai erano diventati inutili Appunto
@ becu rules (#3656024)
non sono d’accordo il rovescio di quinzi non essendo, tra l’altro, mai supportato da una adeguata preparazione psico fisica, era puro talento!
Poi d’accordo su tutto i campioni sono un’altra cosa…
Bellissimo articolo, complimenti!!!
Vedere un servizio che parla di talento ed associata la foto di Quinzi, non mi convince.
Quinzi è stato un giocatore che ha lavorato per primeggziare da Junior, senza pensare a costruirsi come giocatore, ma non aveva più talento di tanti altri giocatori entrati nella top200.
Anzi. Ne aveva meno di molti altri.
Ed anche fisicamente aveva grosse carenze per poter dventare un pro
Quinzi soffriva della “sindrome di Nargiso”: ho vinto Wimbledon junior, sono un campione arrivato, nessun bisogno di ulteriori sforzi. Senza umiltà e lavoro, niente risultati.
Ottimo articolo da aggiungere se si vuole completare il quadro:
Forza mentale;
Resistenza allo stress;
Fame di emergere cos prioritaria che manca in Italia poiché quasi tutti i ns giovani essendo il tennis uno sport non a buon mercato(a differenza guarda caso di molti paesi dell est)provengono da famiglia agiate;
Il talento è purtroppo solo un aspetto dell’insieme
Complimenti per l’articolo, l’ho trovato molto interessante.
bravissimo sottoscrivo.
Inoltre tra i “talenti” veri (Alcaraz, Rune, Sinner), che sono pure precoci, è sempre più frequente che saltino a piè pari l’attività juniores, motivo per cui chi primeggia lì, non solo può sparire del tutto, ma anche chi si afferma comunque nel circuito maggiore, a partire da Musetti a scendere a Fils e VanAssche, non è per forza un predestinato o un top 10 assicurato
Esatto.
A proposito di Wimbledon, Becker è un esempio di giocatore che non perse molto tempo nel circuito junior.
Vale anche per la sedicenne Mirra Andreeva? Non credo, la russa sa che se vuole guadagnare molto e primeggiare, deve dimenticare completamente la vita esterna. Solo campi da tennis e allenamenti. Sono certo che lo farà! Una volta dissero a Borg: Beato lei che ha girato il mondo, visto tante città, bella gente! Che dice, rispose il tennista, durante la mia carriera, ho visto solo campi di tennis e alberghi. Lunghe ore di noia aspettanto il momento di scendere in campo. enzo,
L’errore che commettono in molti (anche l’autore di questo pregevole articolo, in parte?) è quello di attribuire troppo frettolosamente la medaglietta di “talented” sulla base di simpatie personali, sulla base di una o poche prove, e senza la pazienza di confrontare le proprie opinioni col metro dei FATTI.
Proprio su questo sito ho avuto modo di dissentire da un folto gruppo di “esperti” che in coro (un commento tirava l’altro) si era messo contro l’idea di una qualsiasi valore predittivo di tornei giovanili come l’Avvenire” (storico under 16 dell’Ambrosiano di Milano), sul futuro dei tennisti. In sostanza, si negava qualsiasi valore predittivo di questo torneo (Ma le stesse osservazioni potrebbero farsi sui vari”Orange” e Lennon” bawl, e sugli slam juniores. Se avrò tempo e voglia, lo farò)
Eppure non sarebbe stato difficile cercare l’albo d’oro dei torne1, e leggervi alcuni (molti) nomi di maschietti e femminucce che dopo l’Avvenire, avevano raggiunto, in quote rilevanti, la posizione di top-platers da adulti. Certo, una minoranza, altrimenti avremmo il mondo pieno di talenti speciali, che per definizione sono la ricchezza di pochi.
Serve qualche prova?
Fra i vincitori e i finalisti dell’Avvenire trovo:
Maschietti:
Panatta
Barazzutti
Borg
Lendl
Cash
Edberg
Pérez Roldan
Ivanisevic
Ferrero
Soederling
Monfils
Del Potro
Coric
Femminucce
Hradecka
Kat. Maleeva
Martinez
Capriati
Hingis
Sanchez
Sharapova
Krejcikova
Ostapenko
Samsonova
Andreeva
Sinceramente, non mi sembra che manchino segnali importanti di “talenti confermati”
Semmai, forse abbiamo usato (e testardamente conservato) fenomeni occasionali come le Larcher De Brito, le Giorgi, i Quinzi, i Borroni, le Cornet, senza trovare ragionevolmente spesso il coraggio di cambiare opinione prima che costoro raggiungessero l’età della pensione
@ Gian (#3655915)
Musetti ha gia fatto molto meglio di Quinzi infatti ha gia un best Ranking 15
c’è da dire che il tennis juniores è quasi un altro sport. l’aspetto più importante secondo me, che si vede ingrandito nel ciclismo, ha a che fare con lo sviluppo fisico dell’adolescente. A 16 anni ci sono ragazzi che fisicamente sono già quasi degli adulti, altri non lo sono nemmeno a 18. A livello fisico, questa differenza è importantissima.
poi sì, l’aspetto mentale conta forse tanto quanto quello fisico. se fin da piccolo ti senti dire che sei un predestinato e parimenti vinci molti tornei importanti, a livello pro bisognerebbe resettare tutto e partire da 0. il problema di quinzi è stato proprio questo, vale a dire di continuare a giocare nel circuito pro come faceva nel circuito junior, convinto, lui o chi lo seguiva, che sarebbero bastati piccoli accorgimenti per adattarsi. non è stato così, evidentemente. con questo, non voglio dire che quinzi sarebbe diventato un campione se fosse stato seguito da un allenatore più preparato, però è innegabile che non ha saputo gestire il passaggio al cicruito pro.
Articolo scritto in maniera competente e nulla da obiettare come condivido alcuni dei commenti che sono seguiti
Nel caso del tennis poi, ma non solo, spesso le affermazioni precoci si scontrano poi con lo sviluppo del fisico oltre che della mente
A questo proposito va anche detto che spesso, anche per il mondo che li circonda (genitori arrivisti, taluni allenatori) questi ragazzi già a un sta precoce vengono visti come le galline dalle uova d oro in che può generare in loro da un lato una ansia da prestazione che viene dal di fuori e non solo da dentro e anche in taluni casi un “montarsi la testa” quando invece ancora non si è ancora ottenuto nulla, vedendo la propria vita futura ornata da soldi, fama, notorietà, che fanno perdere la percezione del reale
Bell’articolo, condivido in pieno, credo che il talento da solo non basti, servono anche doti fisiche ( Gasquet docet) , ma soprattutto la differenza è nella fame di vittoria, voglia magari di emergere dalla povertà, rivalsa, quello che è mancato a Quinzi, con la pancia già piena è mancato l appetito
Si comunque non confondiamo il talento con i risultati precoci perché sono a mio parere due cose ben distinte. Quinzi vinceva perché era costruito alla grande e impostato sulla ricerca del risultato fin da giovanissimo ma era decisamente poco talentuoso. A tennis si vede chi ha talento perché manda la palla senza durare fatica e fa quel che vuole con la racchetta che non è assolutamente la sensazione che dava Quinzi
Dal punto di vista di uni psicologo dello sport è tutto estremamente coerente ed impeccabile. Mi complimento con il dottore. Ovviamente per chi frequenta o ha addirittura lavorato in un tennis club che ha una buona scuola agonistica, la pratica quotidiana insegna altro. Il tennis logora moltissimo mentalmente. Ed è questa la motivazione principale per cui una ragazzo anche 3.2/3.1/2.8 all’improvviso ha il classico rifiuto della racchetta. Sono pochissimi a resistere…
Se da giovane sei veramente forte il circuito junior lo giochi fino a un certo punto, poi vai direttamente al maggiore. Ad esempio Sinner non ha mai giocato uno slam junior…
Dio non voglia che sia il ritratto del mio Musettino!!
Grazie per l’interessante articolo. Spunto anche per la vita quotidiana.