Lajovic: “Ho sofferto di depressione. Avrei dovuto iniziare a lavorare con lo psicoterapista molti anni fa”
Dusan Lajovic la scorsa settimana ha vissuto uno dei momenti più intensi e magici della sua carriera. Il 32enne di Belgrado all’ATP 250 di Banja Luka ha sconfitto il suo amico e mentore Novak Djokovic, alzando quindi la coppa del vincitore grazie al successo in finale su Andrey Rublev, fresco campione a Monte Carlo. È stato il secondo titolo in carriera per il serbo, dopo quello di Umag 2019. Proprio in quella stagione Dusan approdò alla finale di Monte Carlo, battuto dal nostro Fabio Fognini, toccando il 29 aprile anche il proprio best ranking al n.23. Tennista duttile, piuttosto completo tecnicamente e assai a suo agio sulla terra battuta, è esploso tardi e quindi ha ha avuto difficoltà nel mantenersi tra i migliori. Molti alti e bassi, con bei risultati alternati a momenti di buio, nei quali il suo tennis non rispecchiava affatto il discreto bagaglio tecnico posseduto. Dopo il successo in Bosnia, Lajovic ha fornito un’importante chiave di lettura alle proprie difficoltà, raccontando per la prima volta i tanti conflitti che ha vissuto e sofferto sulla propria pelle: depressione, ansia, disturbo ossessivo compulsivo, problemi che ha ritardato ad affrontare e che l’hanno pesantemente condizionato, in campo e fuori. Dusan ha parlato con franchezza al collega Sebastian Varela di Clay, ammettendo di aver attraversato mesi davvero difficili.
“Sono felice per il risultato di Banja Luka, ma soprattutto perché finalmente sto ricominciando a rimettermi in piedi. Ero entrato in un ciclo mentalmente molto brutto, avevo sentimenti depressivi, ansia e disturbo ossessivo compulsivo. Ora va meglio” racconta Lajovic. “Dopo aver vinto l’ATP Cup e il mio primo titolo ATP, stavo finalmente raggiungendo il mio pieno potenziale. Poi è arrivato il COVID, purtroppo nel momento sbagliato, perché ero al culmine quando sono accadute tutte queste cose. Per la prima volta in 15 anni sono rimasto a casa più di un paio di settimane, pensavo che sarebbe stato strano smettere di viaggiare. Ma mi sentivo davvero felice di essere a casa, a parte la pandemia che ci rendeva insicuri. Ho apprezzato la pace dello stare fermo. Purtroppo la ripresa dell’attività è stata molto difficile per me. Ci siamo sentiti come se fossimo tornati in modo forzato. Quando sono tornato sul tour, mi sono sentito in conflitto con me stesso perché abbiamo ricominciato a giocare senza i tifosi, con tutti i protocolli di viaggio, i test, dovevamo stare nelle stanze e al circolo del tennis. Sentivo che stavamo giocando a tennis mentre le persone soffrivano ancora in tutto il mondo. Mi chiedevo continuamente, perché stiamo giocando? Solo per far andare avanti l’attività? Sono entrato in un circolo mentale orribile. Mi sentivo depresso e non potevo godermi quello che stavo facendo”.
“Ho sofferto tanto per uscire da questa bolla. Quando il mondo è tornato alla normalità, ho iniziato a sentirmi meglio, ma nel frattempo ho passato i peggiori momenti di tutta la mia carriera. Ho avuto anche una serie di problemi nella mia vita privata. Ora sto finalmente iniziando a rimettermi in piedi, sto lavorando duramente ogni giorno, fisicamente e mentalmente. Sto cercando di fare tutto il possibile per tornare al posto in cui ero”, continua Lajovic. “Sto lavorando molto ora in psicoterapia. Ho iniziato da alcuni mesi perché soffrivo di ansia, disturbo ossessivo compulsivo e depressione. Questo stato negativo ha influenzato molto la mie prestazioni. Nel tennis devi sistemare tutte le cose per fare bene, se non ti senti a posto, non è possibile dare il proprio meglio”.
Interessante il passaggio su come sta lavorando su se stesso con il terapista: “La vedo come una terapia, ma anche come un allenamento. È qualcosa che voglio fare fino alla fine della mia vita, indipendentemente dal fatto che stia giocando a tennis o meno. È importante, soprattutto dopo tutte le cose che il mondo ha attraversato. Per prima cosa, devi accettare questo tipo di cose, e poi puoi intraprendere un viaggio per risolverle. Sono in quel viaggio ora. Da situazioni difficili puoi cadere ancora più in basso, oppure puoi accettarlo e affrontarlo come parte del processo, e vedere che la situazione è difficile ma puoi farcela. Devi trovare spazio per la crescita… e se lo trovi alla fine ti renderà una persona migliore. Esattamente quello che sta succedendo a me”.
Lajovic sottolinea l’importanza di parlare apertamente di queste cose, mentre nel mondo dello sport Pro sono considerate un tabù perché segno di debolezza: “Sto lentamente iniziando a parlare di queste cose, penso che sia positivo. Se ritengo che il mio caso personale possa aiutare almeno una persona, allora è bene parlarne. Voglio mostrare alla gente che ci sono sempre soluzioni. Sarà una parte importante di me stesso in futuro perché sono una persona molto riflessiva, penso molto, quindi a volte potrei produrre ansia per cose che non sono ancora accadute. Non è produttivo nel tennis e nemmeno nella vita in generale. Posso dire che avrei sicuramente dovuto iniziare la terapia molti anni fa. Ma a quel tempo l’ambiente sociale riguardo a questo problema era ostile, e molto diverso in Serbia. Non sapevo quanto mi avrebbe aiutato, non mi sentivo a mio agio nel farlo“.
Due parole anche per Djokovic, super campione, esempio, uomo che ha portato il tennis in Serbia a livelli prima inimmaginabili: “Giocare nell’epoca di Djokovic? E giusto guardarlo dal lato positivo. Prima di Novak, il tennis serbo non era sotto i riflettori. Non siamo un paese che aveva una grande tradizione, per noi è molto importante utilizzare l’eredità di questa generazione. Novak, (Jelena) Jankovic e gli altri, quello che hanno fatto deve essere usato in qualche modo, perché se saltiamo una generazione senza avere tradizione, potrebbe essere difficile riportare la stessa qualità. L’esempio di Novak è stato decisivo per imparare molto. Probabilmente quando finirà la sua carriera continuerà a spingere il tennis serbo. Abbiamo bisogno di infrastrutture e di una buona federazione in grado di supportare i giovani giocatori, altrimenti se tutto il peso ricade sulle famiglie è problematico. L’economia del paese non è eccellente e non possiamo confrontarci con altri paesi che traggono risorse dai grandi tornei. Però possiamo copiare le cose buone. Il talento in Serbia c’è”.
Dopo le forti dichiarazioni di Naomi Osaka in passato, ora anche Lajovic sottolinea la necessità di affrontare i problemi psicologici senza aver paura dell’ambiente che ti circonda. Il primo passo per risolvere un problema è sempre iniziare ad ammettere di averne uno. È il primo Ace che può portarti alla vittoria.
Marco Mazzoni
TAG: depressione, Dusan Lajovic, Intervista, Marco Mazzoni, problemi mentali tennisti
Marco Mazzoni , bellissima intervista ad un giocatore che ho sempre seguito con interesse. Sono stato contentissimo della vittoria a Banja Luka di Dusan . È un ottimo giocatore, purtroppo per lui ha trovato giocatori eccezionali che hanno conquistato sempre tutto
A inizio carriera giocava per la Serbia
E con Connors no?Quanto si stavano sulle balle quelli, un odio profondo, mai un riconoscimento della bravura dell’altro, un gran colpo sempre visto come fortuito o cagionato da un errore (passante in corsa di Lendl? Eh ma se la volée mi viene corta son capace anch’io). Erano così, un’epopea temo irripetibile, una fase di passaggio dalla tv in bianco e nero al colore, dal legno all’alluminio alla graphite,dal doppio per allenarsi alla maniacale dedizione di Ivan (e di Martina, va detto).
Certo con eccessi, con reazioni non da educande ma con quel sangue e m… che rende grandi alcune sfide. In fondo come negarsi che il Mundial 82 fu anche Gentile contro chiunque?
Lendl era di scuola tennistica Cecoslovacca, così come la Navratilova….dove abbiano poi messo la bandierina è un fatto di nazionalità acquisita, che ha rappresentato per loro una importante volontà e scelta di vita, ma il loro tennis viene da là.
Tra l’altro ce li avresti visti Mc e Lendl insieme a giocare la Davis…ah ah ah…
Bravo! Complimenti! È utile parlarne anche per far superare lo stigma che ancora esiste
Scusate se vado un poco OT: la Seles me la ricordo con gli Usa,però tempo fa scrissi che la Navratilova era stata la migliore tennista cecoslovacca della storia e giustamente qualcuno mi corresse scrivendo che anche lei giocava per gli Usa, ma Lendl me lo ricordo bene (anche se ero molto piccolo) in Davis per i ceki…perchè allora compare nelle statistiche con gli Usa, mi pare che cambiò solo a fine carriera…?
Giocava per gli USA.
Tranquillo Dusan, sei in ottima compagnia
Peccato che non tutti possiamo permettermelo…
Lo psicoterapista ti rimette in pista!
(Posso dirlo io che ho fatto otto anni di psicanalisi…)
Bravo Dusan. Non bisogna avere mai paura di parlare apertamente delle proprie debolezze. A volte le difficoltà psichiche sono di gran lunga peggiori di quelle fisiche, ti capisco benissimo. Avanti così!
Prima di Djokovic il tennis serbo non era sotto i riflettori? Ma una certa Monica Seles?????
bellissimo articolo e bravo Lajovic , ne abbiamo bisogno in molti