Dagli Slam alla One Tennis Academy: Valentina Sassi coach in Florida “vincere da piccoli non conta, ci vuole equilibrio”
In Florida per una nuova vita, facendo tesoro delle esperienze passate per trasmettere passione e determinazione a giovani allievi di tutto il mondo. Valentina Sassi, nata a Seravezza, in provincia di Lucca, il 12 luglio 1980, è stata numero 144 WTA e ha conquistato in carriera 6 titoli internazionali in singolare tra il 1998 e il 2007. Una volta terminata l’attività agonistica, la toscana ha deciso di restare nel mondo del tennis: oggi vive a Boca Raton, negli Stati Uniti d’America, e lavora come coach alla One Tennis Academy.
Avversarie e palcoscenici di lusso – Tanti i ricordi di una carriera in cui, anno dopo anno, sono arrivate diverse soddisfazioni: “A Le Havre, in Francia, vinsi un $10.000 ricco di giocatrici interessanti, tra le quali una piccola Marion Bartoli. Indelebili anche le emozioni del titolo nel $25.000 di Grado, l’ultimo torneo che giocai prima di volare per la prima volta a Wimbledon. Ogni trionfo è speciale a modo suo, sono tappe importanti per salire in classifica e crescere come giocatrice: non dimenticherò mai l’adrenalina e le sensazioni che provavo in campo”. Nelle qualificazioni degli US Open 2002 la sfida con Svetlana Kuznetsova, poi diventata numero 2 del mondo: “Io avevo un buon rovescio incrociato che poteva essere determinante contro di lei, ma la russa riusciva sempre a girarsi di dritto per tirare il vincente. Era forte, grossa, veloce e potente: era impossibile trovarle un punto debole”.
Il presente al servizio delle giovani promesse – Alla One Tennis Academy Valentina allena le sue due figlie, Asia e Sofia, e i potenziali campioni del futuro: “Qui in America si punta sul fisico e sulla potenza, ma personalmente ritengo determinanti anche l’intelligenza e gli schemi tattici tipici degli italiani. Lavoro in una grande accademia in cui accogliamo quasi tutti i giorni bambini di altri centri che vogliono giocare test match. Qui c’è la concezione che più partite giochi, più migliori rapidamente”. La sana crescita di ragazzi e ragazze, secondo Valentina Sassi, passa per il concetto di equilibrio nella quotidianità dentro e fuori dal campo: “La pressione è pericolosa per i giovani, considerando soprattutto la relativa importanza delle vittorie nelle categorie junior. Far allenare i propri allievi un’ora in più dei rivali non è la soluzione: ognuno ha i suoi tempi e le sue necessità, sta a noi insegnanti tirare fuori il massimo da tutti loro. Un esempio di successo sono gli azzurri entrati nella top 100 della classifica ATP: i coach hanno lavorato con calma e serietà dedicando tutte le proprie energie ai rispettivi atleti. Non mi sorprende che team composti da persone di valore abbiano raggiunto stagione dopo stagione risultati entusiasmanti”.
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Vincere da piccoli è pericoloso, perché poi devi vincere sempre. Io sono dirigente di una società sportiva che ha ragazzi che iniziano la carriera agonistica a 8 anni, in una disciplina olimpica dov’è si arriva alle Olimpiadi non prima di ventisei anni. La maggior parte dei ragazzi molla a 16 anni, perché ignorata da allenatori che seguono solo i più forti, prima di loro mollano quelli che hanno vinto per primi e poi sono stati battuti, anche se rimasti forti. Prima dei sedici anni non ci devono essere titoli e campionati, si alle gare, si ai raduni, ma locali o al max regionali. Le fasi nazionali e i titoli dopo i sedici anni, quando i ragazzi possono capire qualcosa con la loro testa.
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Se pensi poi che qui ci sono correnti di pensiero per cui anziché confrontarsi con i coetanei italici, poiché l’eventuale sconfitta sarebbe fonte di irreversibili conseguenze sulla psiche, preferiscono open e tornei TennisEurope (prestigiosissimi! “Mio figlio fa tornei internazionali.. Si ma se poi perde al torneo di SanPancrazio al primo turno…);la verità è che in certi casi è giusto anche essere spennati:se i genitori non vedono l’ovvio ben gli sta.
Il percorso è sempre lo stesso, quello tracciato mirabilmente da Jimmy Evert x sua figlia Chris: fino ai 18 anni le fece disputare non più di 5 tornei all’anno, questo per preservarne il fisico e la mente.
E così Chris è stata quello che è stata: una delle migliori tenniste che siano mai esistite e che abbiano mai calcato un campo da tennis.
Certo, era Chris Evert dirà qualcuno, facile così…e invece senza una gestione oculata del periodo adolescenziale, come fatto dal padre, anche la Evert non sarebbe diventata la Evert: anni dopo Chris lo riconobbe: “quello che al momento mi sembrava una privazione (a 15/16/17 anni batteva già tutte, comprese la King, la Wade e la Court), mi allungò la carriera ai massimi livelli; disputavo solo una manciata di tornei all’anno, ma in questo modo mi abituai lentamente e coi tempi giusti al tennis di vertice e contemporaneamente evitai stress fisici e mentali eccessivi in un’età in cui non ero pronta ad assimilare il tutto”
Però non credo che Gaz dissenta da questo, semmai ribadisce che se è vero che essere precoci da ragazzi non assicuri nulla, essere molto indietro renda ancor più impervia la strada per affermarsi.
Vero è che spesso si guardano ai risultati tralasciando quali qualità li abbiano consentiti, spesso un fisico che inizialmente ha sopperito alla tecnica (vedi Quinzi). È il motivo per cui sono fiducioso su Sinner: se vi sarà un irrobustimento della, struttura, senza penalizzarne eccessivamente la fluidità (un po’ credo sia inevitabile) potremmo vederne delle belle. Poi la testa fa il resto ovviamente.
Vale per tutti gli sport. Purtroppo tanti genitori portano le loro frustrazioni di sportivi mancati sui figli, gli allenatori più farabutti addestrano i bambini come scimmie ammaestrate insegnando a vincere anziché a progredire, e fanno credere ai genitori di avere i futuri campioni, così li spennano ben bene e a 16 anni i ragazzi smettono con il consenso dei genitori che sono stufi di spendere soldi. Tanto il serbatoio dei nuovi genitori è inesauribile.
perche Gaz ha la sindrome da talent scout e gli piace poi dire…..”l’ho scoperta io”…..una specie di Pippo Baudo del tennis insomma…..solo che lui le dice tutte e prima o poi ci becca….
L’Italia non è un mondo di gente “Precoce”. Ci sono bambini/e spinti a 200 Km/h a 11/12/14 anni. Scompariranno. Il grande giocatore/trice si cesella pian piano… per restare per sempre.
Sono i due lati della stessa medaglia.
Non vincere da piccoli, tranne rarissimi casi, porta spesso alla perdita di motivazioni e all’abbandono, mentre ottimizzare il gioco con frulloni e gamba per vincere da under distrugge la prospettiva professionale dei ragazzi.
Quasi sempre i veri fenomeni vincono da under anche se la loro progressione di gioco e fisica è tarata per dare il meglio a 22/23 anni, gli altri che vincono già, ma convincono meno, magari arrivano dopo gavette più lunghe e con target più modesti…quelli che non convincono da under non arrivano praticamente mai.
Sta nell’occhio di chi fa il talent scout valutare braccio, fisico attuale e progressione fisica, ambiente, testa, motivazioni…
compito difficile, molto di più di chi dice semplicemente “non arriverà”….lì è facile…non ne arrivano 95 su 100.
Riflessione che, come alcuni qui dentro sanno, condivido pienamente. Ecco perché battibecco con Gaz su questo tema. Lui è alla continua ricerca delle ragazzine più forti, quelle che possono battere i record di precocità, quelle che potrebbero ambire alla top ten e devono sbrigarsi a infrangere il muro delle 100. A me piace guardare le giocatrici vere, quelle che hanno intelligenza tattica, schemi diversi, variazioni nel gioco. Se poi arriveranno dopo in alto, a chi interessa? Meglio arrivarci più tardi ma per restarci che arrivarci prestissimo e poi sprofondare in abissi dai quali difficilmente ti ritiri su