Open Court: Intervista a Stefano De Pirro, fisioterapista di Denis Shapovalov. La vita sul tour di Stefano e Denis, parte prima (di Marco Mazzoni)
Alcune giornate d’autunno hanno una luce diversa. Non lo puoi spiegare, puoi solo viverle. Quelle mattine che iniziano con il cielo terso e le foschie spazzate via da un vento “frizzantino”, che fa danzare in mulinelli geometrici piccoli cumuli di foglie rossastre. Bellissimi. Sono le giornate con i colori più intensi di tutto l’anno, perfette per foto panoramiche, ideali per gustarsi le meraviglie del nostro territorio. O forse sono anche i nostri occhi a filtrare tanta bellezza, spinti da un programma che aspetti da tempo? Colazione e via in auto, direzione Monte Argentario. No, nessuna velleità balneare (anche se qualcuno si azzarda a tanto, nonostante siamo in pieno novembre…!). Attraverso il Chianti fiorentino e poi le spettacolari colline senesi, fino all’alta Maremma. Poco traffico, buona musica. “Sto arrivando, per le 11.30 sarò da te”. “Ok, ti aspetto, sono a casa” risponde Stefano. Una delle persone più interessanti che ho conosciuto negli ultimi tempi nel mondo del tennis. Prima di entrare in Porto Santo Stefano, non resisto alla tentazione di una brevissima sosta per gustarmi il primo lembo di costa, immortalato con un paio di foto clamorose. Che natura, che scorci, che meraviglia il blu del mare, increspato da un vento teso che rende il contesto ancor più drammatico, degno di un capolavoro di William Turner. “Eccomi, sono sotto casa tua”. La finestra si apre, un saluto e scende. Inizia quella giornata insieme, parlando di tennis e molto altro, che avevamo fissato allo scorso Roland Garros. Ma il mio primo contatto con Stefano De Pirro, oggi fisioterapista full time di Denis Shapovalov, risale al 17 maggio 2018, intorno alle 7.50 di mattina… Ancora nel dormiveglia dopo una lunga serata al Foro Italico per gli Internazionali, un messaggio scuote il silenzio della stanza. Sarà mia moglie… No. “Buongiorno Marco. Mi chiamo Stefano e leggo sempre i tuoi articoli su Livetennis. La trovo uno scrittore molto bravo, complimenti! E’ ancora al Foro?”. “Grazie mille, troppo gentile! Sì, sono a Roma”. Il messaggio successivo mi fa sobbalzare sul letto… “Lavoro nello staff di Shapovalov, dopo le 1430 non sarò più disponibile, ma se riuscissi a salutarla mi farebbe molto piacere”. Accetto, con curiosità ed entusiasmo. Ammetto che il nome Stefano De Pirro non mi dice niente. Mentre inizio la mia giornata romana, non posso immaginare che da lì a poco avrei conosciuto una persona straordinaria, un grande professionista ed un occhio critico molto attento a tutto quel che succede in campo e non solo. Dal primissimo incontro a quelli di Parigi ed infine alla giornata insieme in Maremma, passando per molti messaggi e telefonate, scopro un ragazzo tutt’altro che banale. Una persona curiosa, che ama vivere la vita e le sue emozioni forti, che si interessa a tutto quel che accade nel “nostro” piccolo mondo del tennis, e non solo.
Me lo conferma la prima chiacchierata sulle pendici dell’Argentario, mentre mi mostra le bellezze del luogo, i suoi ricordi d’infanzia e giovinezza; i suoi primi passi sul campo da tennis “in questo tennis club ho iniziato a giocare. Che giocatore ero? Uno che la ributtava sempre, e non moriva mai, ma tecnicamente non ero particolarmente forte. Sono nato a Milano, mi spostai qua da piccolo, il tennis aiutò ad inserirmi”. Ed anche gustosissimi aneddoti recenti… “In questa baia siamo venuti la scorsa estate con Shapovalov, sono state giornate importanti dopo Roland Garros. Invece di tornare in Canada e fare due traversate oceaniche prima dell’erba, l’ho convinto a venire qua a casa mia. Abbiamo nuotato, pescato, ci siamo rilassati. Ne avevamo bisogno. E lui ha apprezzato moltissimo”. A giudicare dal sorriso del mancino canadese, immortalato in una foto durante un’escursione in canotto, sembra proprio di sì.E come è stato il contatto con la tua gente? “Beh, abbiamo fatto qualche allenamento al club qua in paese, non è stato facile contenere l’entusiasmo…”. Siamo sul lato opposto a Porto Santo Stefano, sulla montagna. Qua il vento non si avverte, la vegetazione è incredibile, come i profumi e molti scorci. Mi mostra uno scoglio che svetta dal blu del mare, fulcro in un panorama di una bellezza stordente. “Qua da ragazzo venivo con gli amici, ci arrampicavamo fino alla vetta, soprattutto nelle giornate con meno turisti. Prima c’era solo un po’ di gente, …adesso in estate è diventato troppo caotico, meglio godersi questa baia in primavera, o a settembre. Al di là di quella punta, dove ci fermeremo dopo, è ideale per pescare. Mio papà mi ha insegnato i trucchi, per staccare “dal mondo” non c’è niente di più bello dell’andare in mare, pescare, o anche solo prendersi qualcosa da mangiare e fare un picnic cullato dalle onde…”. Dalle sue parole intuisco l’amore per questo mare, per la sua terra. I dettagli con cui cerca di farmi rivivere tanti attimi del suo vissuto, e la sincerità con cui mi apre le porte del suo mondo, mi rapisce. “Guarda, quella è l’isola del Giglio, e… proprio in quel punto lì, per tanti mesi, si vedeva il relitto della Costa Concordia. Se tornerei a vivere all’Argentario? Non subito. Prima ho molto da fare nel mondo del tennis, viaggiare, conoscere, imparare. Anche se me lo potessi permettere (qua i prezzi sono saliti a livelli allucinanti…ndr), non prenderei una casa fronte mare. C’è quella dei miei genitori al porto. Preferirei qualcosa leggermente più in alto, con un po’ di terra per coltivare le mie verdure e preparare ogni giorno i miei piatti preferiti…”. Ma dove vorresti vivere una volta terminata la vita sul tour? “Eh… ancora non lo so. Qua ci sono le mie radici. Però il mondo è grande e nonostante sia sempre in aereo devo ancora scoprire molte aree. Per esempio mi manca l’America Latina. Quando ero a Vienna, lavorando con Dominic Thiem, non fui aggregato alla trasferta sulla terra in febbraio, e mi dispiacque. Mi affascina molto quella regione, chissà se potrò andarci con il tour ATP…”.
Già, il tennis. Ma chi è davvero Stefano De Pirro, e perché ha scelto proprio di vivere nel complesso mondo della racchetta?
“Il tennis è sempre stato parte della mia vita. Ho iniziato per passione, giocavo da piccolo. Poi quando ero all’università (due lauree: Scienze Motorie a Pisa e quindi Fisioterapia a Viterbo) lavoravo ai circoli per avere un’entrata extra e mantenermi. Durante il mio ultimo anno di studi collaboravo con il TC Viterbo, venne organizzato un ITF Future maschile da 10mila dollari. Avevano bisogno di un fisioterapista, mi chiesero di coprire il ruolo. Accettai…” Il suo sguardo si illumina, segno che l’emozione per quel ricordo è ancora forte. Del resto “quella settimana mi cambiò la vita, un vero colpo di fulmine. Avevo 24 anni, tornai a casa totalmente rapito da quell’esperienza, tanto da farmi esclamare – Ho capito cosa voglio fare da grande. Voglio che ogni settimana del mio futuro sia come quella appena passata, immerso nel tennis Pro”.
Però il passo dal livello più basso del tour a Wimbledon è bello grande… “Infatti la prima domanda che mi sono posto fu proprio quella: come si arriva ai Championships partendo dal 10mila di Viterbo?”. Mentre Stefano mi racconta questo passaggio fondamentale della sua formazione, e della sua vita, la strada si fa tortuosa, tra le curve dell’Argentario e spettacolari torrette di avvistamento di epoca saracena da cui si gode un panorama incredibile. Una strada in salita bella tosta, non agile per la mia auto. Come l’ascesa di Stefano verso Wimbledon, non facile, ma ce l’ha fatta.
“Iniziai ad informarmi, già durante quel primo torneo, tra giocatori, supervisor, ecc. La risposta di tutti fu “fai la gavetta! Frequenta tornei, fatti vedere in giro”. Così feci, partendo dai tornei italiani di stesso livello o appena superiori. Chiamai vari eventi in Italia per lavorare, fare esperienza, farmi conoscere. Dopo un solo anno, avevo collaborato come fisioterapista in una dozzina di tornei. Oltre all’esperienza diretta, fondamentale per la mia crescita professionale, aver frequentato con continuità il tour mi permise di essere conosciuto dai giocatori e dai coach. Il mio nome iniziava a girare nell’ambiente, anche perché senza falsa modestia facevo bene il mio lavoro, e loro erano contenti dei miei servizi. Molto velocemente sono “entrato nel giro”, passando prima stabilmente ai Challenger e quindi alle prime apparizioni negli ATP ed alle richieste da parte di buoni/ottimi giocatori”.
Chi è stato il primo “buon” giocatore che ricordi di aver trattato?
“Ho un bel ricordo del Challenger di Roma Garden, si svolge poco prima degli Internazionali e quindi è ben frequentato. C’erano Gilles Muller, Ernests Gulbis, Rui Machado, Simone Bolelli, Quinzi… In particolare proprio Muller, con cui lavorai e instaurai un bel rapporto. Da lì andai direttamente agli Internazionali, inserito nel team dei tirocinanti, dove feci altre importanti esperienze e raccolsi molti contatti. Il primo Pro di livello? Dominika Cibulkova. La conobbi attraverso un altro “fisio”, io cercavo un Pro per girare il tour full time, lei cercava un professionista. Ci incontrammo a Miami nella off season, lavorammo insieme un mese, ci trovammo bene tanto che lei mi fece una proposta per seguirla nella stagione 2012. Ecco il mio inizio”.
Per come si è evoluto il tennis, sempre più impegnativo sul piano fisico, il ruolo del fisioterapista è diventato cruciale, quanto o addirittura superiore al coach…
“Superiore a quello del coach non direi, ma molto importante sì, considerando quanto sono diventate lunghe le carriere dei giocatori e quanto sia impegnativo il calendario agonistico. Sempre più tennisti hanno nel loro team un “fisio” full time per lavorare e prevenire infortuni e dolori”.
Vista la tua esperienza quotidiana nel tour, dove pensi che sia cambiato maggiormente il tennis, e dove si potrebbe arrivare in futuro? Alla domanda Stefano sgrana gli occhi, mentre ci incamminiamo sul porto di Santo Stefano, con la brezza ad increspare il mare ed i gabbiani che ondeggiano placidamente.
“Bella domanda… Intanto credo che il tour sia diventato più impegnativo, il livello medio si è alzato, nel senso che per essere tra i primi 20 devi giocare molto meglio di 10 anni fa. La fascia tra il 15 ed il 30 del ranking, dove staziona anche il “mio” giocatore Denis Shapovalov, è diventata molto competitiva. Perché? E’ un discorso complesso, di sicuro la componente fisica è determinante”
Trovi i giocatori più forti fisicamente rispetto ai tuoi esordi?
“Sì, sono più resistenti, servono più veloce, sono più continui nella prestazione. Non è una questione di velocità di palla pura, non servono tutti a 240, come qualcuno ipotizzava… ma servono a oltre 210 kmh anche al quinto set e corrono a fine match quasi come nel primo set. Dove si arriverà? Difficile dirlo, ma credo che troveremo un livello molto interessante, con giocatori estremamente completi sul piano fisico, tecnico e tattico”.
Da poco (novembre scorso, ndr) si sono svolte le NextGen finals a Milano e sono state testate nuove regole. Si parla spesso di novità. A Stefano De Pirro, cosa non piace del tennis attuale, e cosa cambieresti o inseriresti per migliorare il nostro sport?
“Il tennis così come è mi piace, parlo di materiali e di regole generali. Vorrei che il calendario fosse diverso, è il vero nodo oggi.Una soluzione? Ritengo che gli Slam dovrebbero essere ad una distanza simile uno dall’altro. La situazione ideale sarebbe la successione di tornei 250, 500, 1000 e Slam. Quindi una pausa. Fare in pratica 4 blocchi per i quattro Slam sulle diverse superfici, con una preparazione di tornei “a salire” fino allo Slam. Si potrebbe quindi concludere la stagione indoor in Asia, con al posto dello Slam il Master di fine anno, seguendo la stessa progressione. Sarebbe un’annata più logica, più omogenea. Non ha senso che l’erba, che piace a tutti, sia schiacciata tra terra e cemento senza la possibilità di prepararla adeguatamente. Certamente cambiare è difficile… Ci sono molti tornei che hanno acquisito una tradizione in quel momento della stagione, con sponsor importanti e contratti firmati per molti anni, quindi è una situazione difficile da gestire, anche per chi governa il tennis. Stravolgere completamente il calendario è quasi impossibile, ma servirebbe un passo indietro, partendo dai giocatori”.
Curioso che molti tennisti si lamentano dei troppi impegni (di recente, Sasha Zverev, uno giovane tra l’altro), però poi giocano molto…
“Giocano perché il tour lo chiede, gli sponsor chiedono, la classifica porta soldi… Questo tour non è sostenibile alla lunga, ma ripeto, il cambiamento dovrebbe partire dai giocatori stessi. Ci sono stati segnali, riunioni…”.
La nostra chiacchierata entra in ginepraio intricatissimo, parlando di economia sportiva, contratti, peso e potere dell’ATP, la disastrosa faccenda Davis, ruolo reale dei giocatori, fronde interne, l’invecchiamento degli spettatori… temi caldi, caldissimi, che riprenderemo nella seconda parte dell’intervista. Siamo intanto arrivati ad un piccolo ristorante sul molo, con vista deliziosa ed un profumo di cucina di mare spettacolare… “Ci sediamo qua, il proprietario, Andrea, è mio amico ed è un grande appassionato (in effetti, passando in bagno, ha Supertennis in diretta sul laptop…). E’ lo stesso tavolo dove ho portato Denis la scorsa estate. Proprio durante un pranzo, squillò il suo telefono. Era un ex giocatore molto importante, una chiamata inaspettata e gradita. Chi era? Non te lo posso dire, ma aveva una grande risposta…”.
Parliamo un po’ di Shapovalov. Come è nato il vostro rapporto professionale?
“Nel 2016 ero di base a Vienna, lavorando con Thiem nell’accademia di Bresnik.Denis venne nella struttura ad allenarsi in autunno. Sfortuna sua (…o fortuna mia?) durante una sessione in campo con Dominic, Denis cade in campo e si sloga una caviglia. Era un vero peccato che un giovane 17enne fosse venuto appositamente dal Canada per lavorare con Thiem e non potesse allenarsi, quindi l’ho preso in cura e l’ho trattato. Abbiamo iniziato a lavorare insieme in quella occasione, ed è scattato un gran bel feeling. Questo mi portò a una riflessione: restando a Vienna in una accademia non avrei potuto crescere come volevo, era tempo per un’esperienza diversa, in prima persona. L’ho trovata con Denis e le cose, per adesso, vanno molto bene”.
Si nota infatti dalle foto che postate sui social, di mille attività tennistiche e non, che siete molto legati, in momenti anche lontani da racchette e palestre.
“Lavorando insieme full time, ogni giorno, questo è un aspetto fondamentale. Se non ci fosse chimica, se non avessimo dei caratteri compatibili e stessi obiettivi il rapporto non può funzionare, proprio come in una coppia. Cosa ci accomuna? Abbiamo un carattere simile, e ci piace il modo in cui spendiamo il tempo insieme, sia durante il lavoro che fuori dal campo. Ad esempio, durante i vari trattamenti, lui è sul lettino e mentre io lavoro guardiamo le serie tv, condividiamo questa passione. Ci piace giocare ai videogames, uscire la sera, usare i social… Denis è una persona con cui mi piacerebbe passare del tempo insieme anche se non fosse il mio datore di lavoro. Litigi? Per adesso no, ma siamo ancora giovani…”.
Come è una vostra giornata tipo? Su cosa lavori con Denis?
“E’ diversa in un periodo di preparazione rispetto alla settimana di torneo. Nei momenti di preparazione si inizia con la colazione e quindi lamobilizzazione: un riscaldamento passivo delle articolazioni e della muscolatura, ha un effetto preventivo. Il suo corpo non è ancora entrato nella routine di movimento. Muovo io fisicamente il suo corpo, in modo che le strutture fredde del suo corpo iniziano a sciogliersi; lo potremmo definire un “dolce risveglio”, dura circa 20-30 minuti. Quindi si passa al riscaldamento attivo, massimo 30 minuti, che lo prepara all’allenamento vero e proprio. Corsetta, elastico, qualche peso. E’ meglio avere una routine, e non improvvisare, ma nel 2019 cambieremo la routine. A volte apporto io cambi improvvisi per vedere se lui sta attento ai passaggi. Scaramanzia? A volte… Noia? Lui sa che è parte del lavoro, è un ragazzo che si applica. Si arriva all’allenamento, quindi c’è ildefaticamento, per riportarlo a livelli standard. Pranzo, riposo, quindi di nuovo riscaldamento, allenamento vero e proprio (un paio d’ore), quindi di nuovo defaticamento. A seconda delle esigenze inseriamo lavoro in palestra, che può essere cardio, oppure più aerobica, più di potenza, più di velocità, dipende dagli obiettivi che ci siamo posti dal punto di vista fisico (velocità, equilibrio, reazione, esplosività, ecc). Il campo è molto vasto, e variamo sui vari obiettivi, per un massimo di 1h e 30.La parte finale è quella puramente fisioterapica, il mio campo più specifico: facciamo allungamento (20-30 min), poi il recupero che può essere inteso come massaggio semplice per far recuperare il muscolo, o come fisioterapia vera e propria, quando avverte un dolore di qualche tipo e si interviene nello specifico. Questa fase dura un paio d’ore, a meno di esigenze particolari. Quando siamo in torneo con una partita nella giornata, vale sempre tutta la prima fase del lavoro, e dopo il match segue la parte finale, che c’è ogni giorno”.
Che tipo di fisico ha Shapovalov?
“Molto esplosivo ed elastico, i due aspetti vanno a braccetto: è esplosivo perché è elastico. E’ giovane, non sembra avere un’inclinazione agli infortuni, è un aspetto molto positivo, però è un corpo “da junior”, c’è ancora moltissimo lavoro da fare per portarlo alla forma massima. Ed è un lavoro che richiede tempo, perché alcuni aspetti vanno affrontati separatamente dal resto. Ti faccio un esempio: nella passata stagione c’eravamo posti l’obiettivo di lavorare sulla stabilità ed equilibrio,che perdeva soprattutto dopo aver eseguito il colpo,anche per i salti con cui approccia la palla ed esegue il movimento d’impatto. Questo lavoro ha fatto perdere un filo di velocità ed esplosività, e questo sarà il focus principale da qua in avanti”.
Il suo tennis in effetti è molto basato su accelerazioni improvvise e importanti, grandi slanci, non deve essere facile tenere il controllo…
“Esatto, “la potenza è niente senza controllo”!
Shapovalov ha vissuto un 2018 di crescita, ma anche una frenata. Una stagione su terra sorprendentemente buona, poi male sull’erba e da lì in avanti la sua stagione si è un po’ “bloccata”, qualche buon risultato ma anche diversi match persi non benissimo. Osservandolo “da fuori”, sembrano problematiche non di natura fisica, quanto aspetti tecnico/tattici e mentali. Come la pensi, dato che vivi ogni giorno con lui?
“Come primo anno vero di ATP tour era lecito aspettarsi questa situazione, non è facile gestire una quantità di eventi così ravvicinati, tanto lavoro e un po’ di pressione. Avrà fatto tesoro delle esperienze, buone e cattive, sapremo gestire meglio il tutto nel 2019. Non credo abbia pagato sul piano fisico, manon era abituato a tenere l’intensità necessaria a stare nei piani alti del ranking e che il tour richiede. E’ la normale transizione da uno che viene dal mondo Challenger al massimo livello professionale”.
Intantola cucina di Andrea del “Moletto”ci porta un piatto più buono dell’altro: da un antipasto di mare abbondante e freschissimo, incluso uno sformatino di verdure delicato, ad una pasta alle vongole con un profumo che cerco disperatamente di ritrovare chiudendo gli occhi, per scappare dal mio pc e tornare lì, con Stefano, con la sua compagnia e tanto tennis. Immersi insieme in quel porto tanto pittoresco da essermi entrato dentro, in un angolo speciale dei miei ricordi.
Ma Denis è una buona forchetta? Che avete mangiato? “Certo che gli piace mangiare! Cosa? Non ricordo, ma un po’ di tutto. Spesso porta Andrea, mi fido sempre di lui. Qua la cucina è semplice ma di qualità. Avrei potuto portarlo anche in un locale stellato… ma qui ci sono io, la mia gente, il mio porto, il mio panorama. Quella verde ancorata lì di fronte a noi è la piccola barca da pesca di mio papà, non hai idea di quante esperienze e momenti vissuti insieme… Ho voluto che Denis vedesse e vivesse con me queste sensazioni di vita semplice. Vera”. Non riesco ad esprimere in parole la gioia di aver potuto assaporare (letteralmente), ammirare e vivere le stesse identiche sensazioni, con Stefano. Anche se Shapovalov quel giorno era in vacanza dall’altra parte del mondo, era come se fosse lì, con noi, degustando il vino e parlando amabilmente. Per un giorno la compagnia di Stefano mi ha fatto sentire un privilegiato, parte di qualcosa di importante, sul piano umano e sportivo. Ho capito tanti particolari di un progetto tecnico, umano e sportivo che guarda e lavora in grande, con l’obiettivo massimo di essere tra i migliori. Forse il migliore. Il vino bianco scorre nei calici, c’è ancora molto di cui parlare. Curiosità su Denis e Stefano, la vita in tour, le fasi delicate della stagione 2018, obiettivi per il 2019 e già per il 2020, l’anno in cui Shapovalov potrebbe davvero esplodere. Ma di questo vi racconterò dopo l’Australian Open. Stay tuned.
Marco Mazzoni
@marcomazz
TAG: ATP, Denis Shapovalov, fisioterapia, Fisioterapista Shapovalov, Intervista, Intervista a Stefano De Pirro, Marco Mazzoni, Open Court, Shapovalov, Stefano De Pirro, trainer
grande articolo, bravissimo Marco, parlare delle proprie passioni con persone che le condividono e hanno tanto da raccontare è sempre qualcosa di esaltante
Quando avrò una intera giornata libera lo leggo xD
Grandissimo racconto. Sono un frequentatore delle zone e del Moletto.
Sarei curioso di avere qualche informazione su quanto un giocatore come Shapo gestisce consapevolmente i picchi di condizione durante l’anno ed anche di settimana in settimana.
Di sicuro penso che lui punti a dare il meglio fra Wimbledon ed US Open, ma come gestisce la preparazione al di fuori di questo intervallo?
Che impatto hanno le caratteristiche tecnico-fisico sulla preparazione?
E bravo Mazz, stavolta ti sei superato ❗
molto gentile Elio grazie mille 🙂
@ Alessandro zijno (#2241447)
Anche il tuo blog è molto interessante 😉
Complimenti ❗
grazie dello splendido articolo, spettacolare e bravissimo anche Stefano de Pirro davvero interessante intervista, aspetto seconda parte con curiosita
Bella intervista! A proposito di social, ha una pagina Instagram carina, vale la pena dargli un’occhiata