Claudio Panatta e una (ingiusta) vita all’ombra del fratello
Quando eccelli in uno sport fin da bambino ma per “gli altri” non hai le stimmate del campione. Quando vinci manifestazioni sportive ma queste non sono mai abbastanza prestigiose. Quando entri fra i migliori 50 al mondo nel tuo sport, scalando una classifica che per molti è insormontabile ma l’opinione comune continua a non accorgersi di te, la maggior parte delle volte può significare solo una cosa: nella disciplina in cui ti stai cimentando, ti sei ritrovato da sempre a dover ricalcare le ombre e i successi di qualcuno all’interno della tua famiglia, qualcuno che di quello sport ha incarnato al meglio i valori contribuendo a scriverne la storia tagliando traguardi di assoluto valore.
Potrebbe essere questo il sentito comunemente condiviso riguardo Claudio Panatta, fratello del ben più celebre Adriano e troppo spesso sottovalutato per la sua “onesta” carriera in cui ha raccolto diversi successi in doppio e singolare del circuito maggiore (Bari nel 1985 in singolare ma anche 6 successi di coppia), raggiunto la posizione numero 46 come best ranking in classifica, collezionando diverse presenze nella squadra di Coppa Davis nel decennio poco azzurro degli anni ‘80. Eppure tutto questo non è bastato, non è potuto bastare, perché il giocatore fratello d’arte nato a Roma nel 1960 ha vissuto sempre l’orribile e logorante paragone che lo ha affiancato ad Adriano: a nulla sono bastate vittorie di richiamo contro atleti al vertice, la gente propenderà sempre a esaltare il ricordo delle gesta Slam di un Panatta dimenticando troppo in fretta le buone prestazioni fatte segnare dall’altro.
Essere figlio d’arte, fratello d’arte, perfino nipote d’arte, può rappresentare nello sport il peggiore dei biglietti da visita per farsi largo in una disciplina e in un ambiente che da sempre affascina e irretisce, anche e soprattutto per gli esempi splendenti visti e ammirati da molto vicino e che, più o meno inconsapevolmente, si è portati da reconditi desideri a voler emulare a tutti i costi: lo sport è pieno di esempi di giocatori che contando solo sui propri mezzi e sul proprio talento avuto in dote avrebbero potuto centrare obiettivi ben più importanti ma che purtroppo e, direi anche comprensibilmente, sono stati condizionati nei loro risultati in negativo da paragoni troppo ingombranti e troppo “familiari” da gestire. La pressione psicologica può distruggere e forse lo può maggiormente fare quando si intraprende una strada in cui ci sarà sempre l’accostamento impietoso a qualcuno che meglio di te si è saputo comportare e a cui tu potresti finire per guardare perfino con invidia, qualcuno che all’inizio è stato un punto di riferimento e una miccia utile ad accendere la tua passione ma che nel tempo si è tramutato in un peso insostenibile.
Allontanandoci dal campo dello sport, la vita quotidiana è un continuo susseguirsi di situazioni in cui ci si deve confrontare con riferimenti familiari che possono creare solo danni: nella musica, nel cinema, nell’intrattenimento in generale, ma anche nelle famiglie più comuni dove campioni non ne esistono, troppe volte abbiamo assistito a fallimenti personali di chi non ha saputo scegliere una scena diversa da quella splendidamente calcata da un precedente illustre, fallendo miseramente e che, ostinandosi in quella difficile rincorsa, ha spesso colpito l’attenzione, mediatica o no, più per la tenerezza in grado di scatenare con i propri tentativi infruttuosi piuttosto che per i successi in grado di cogliere, arrivando a odiare una vita che dovrebbe farsi apprezzare per privilegi e occhi di riguardo decisamente innegabili.
È il fardello dei “figli di”: una vita all’ombra cercando un minimo di luce propria. Ma un posto al sole può divenire un incubo difficile da superare.
Alessandro Orecchio
TAG: Claudio Panatta, Italiani
Confesso di non essermi quasi mai esaltato di fronte ai risultati di Claudio Panatta, non perché mi aspettassi che ottenesse i risultati del fratello, piuttosto perché mi sarebbe piaciuto vedere una maggiore costanza di rendimento, una maggiore solidità mentale e non perdere così spesso contro giocatori meno quotati. In ogni caso questo è un limite di personalità che ha riguardato quasi tutti i giocatori italiani. Basta pensare a giocatori come Cancellotti, Pistolesi, Nargiso, ecc…
Non saprei sotto questo punto di vista se i giornalisti nei confronti di Claudio Panatta siano realmente stati più duri.
Onesto e serio professionista. Giusto ricordarlo.
il mitico incontro di Davis con l’India ,sull’erba con un caldo insopportabile,eppure sfiorando il colpaccio.
Un po leggero , ma bellissimo da vedere….claudione un mito
@ Fabio (#1271876)
A chi lo dici….rimasi sveglio tutta notte…dopo cancellotti krishnan, gioco claudio contro vj armitraji…la partita venne sospesa x oscurita ed io bigia x nulla…che bei ricordi.x la cronaca perse al 5
Per me fece anche troppo. Essere il fratello di Adriano non poteva essere garanzia di successi che, nel tennis, vanno ottenuti sul campo e che tuttavia ottenne, essendo arrivato al numero 46.
Se invece Orecchio per (non) ombra intende galganate, comparsate in tv, ruoli tecnici o incarichi pubblici inutili, beh allora è un altro discorso.
Mi ricordo Cancellotti intorno alla ventesima posizione, il migliore del gruppo. A seguire Canè e Panatta. Ricordi di bambino.
Giocatorino onesto che ha rappresentato temporalmente uno dei momenti più bassi di sempre dell’Italia tennistica.
Penso che da n. 46 fosse il primo d’Italia….
Visto che il cognome non conta…Lorenzi ha fatto uguale…vediamo se nel 2045 qualcuno parlerà ancora di lui…
Purtroppo con quel cognome qualcuno pensava che dovesse vincere Parigi.
anzi….
credo che se non fosse stato il fratello di Adriano nemmeno sarebbe stato fatto questo articolo….
@ danailo (#1271821)
Non sono andato a scuola x vedere l’Italia da Calcutta con Panatta e Cancellotti!
non credo che se avesse avuto per fratello un avvocato o un operaio….avrebbe avuto più’ riconoscimenti….da tutti gli appassionati credo sia ricordato come un discreto tennista e tale è! nulla di più’ e nulla di meno!
Solitamente apprezzo gli articoli di Orecchio: questo invece mi sembra parecchio vuoto di contenuti. Forse era meglio inserire un intervista al diretto interessato per sapere cosa ne pensa.
io me lo ricordo bene una notte sull’ erba indiana di coppa Davis…
Corretto con il rovescio solo in back non riusciva a tenere lo scambio con quelli forti. Il suo gioco era di un’epoca precedente.. di classe ne aveva.
PER LA SUA SERIETA’ E DEDIZIONE, MERITAVA PIU’ DI QUELLO CHE HA RACCOLTO
Gioco simile ad Adriano, molto leggerino nel periodo dove nascevano i primi picchiatori.Al foro l’ho visto contro Courier che tirava almeno il doppio più forte di lui.