La crisi del tennis americano Copertina, Generica

La crisi del movimento tennistico maschile a stelle e strisce: buio pesto o esiste una luce all’orizzonte?

20/07/2014 13:36 15 commenti
John Isner classe 1985, n.12 del mondo
John Isner classe 1985, n.12 del mondo

Il tennis e gli Stati Uniti sono stati per decenni interi un binomio assolutamente vincente: sia in campo maschile che in quello femminile, abbiamo assistito a rivalità che hanno fatto la storia di questo sport, con un movimento che faceva incetta di titoli del Grande Slam e godeva di una popolarità unica. Così nel tempo si sono susseguite delle epiche battaglie fra Martina Navratilova e Chris Evert, con Billie Jean King antesignana di una rivoluzione tanto culturale quanto sportiva; in tutto questo gli uomini non sono stati di certo a guardare: prima hanno rivaleggiato Jimmy Connors e John McEnroe e poi una generazione di fenomeni capeggiata da Pete Sampras e Andre Agassi, senza dimenticare Jim Courier e Michael Chang, ha monopolizzato le vittorie nei tornei più importanti, fino al più recente Andy Roddick, ultimo vero campione di una scuola che forse adesso non c’è più.

Appare evidente da anni ormai, che questi bei tempi sono solo dei ricordi e che allo stato attuale, manca una vera pletora di tennisti pronti a darsi battaglia: mentre nel tennis femminile, una sfilza di giovani atlete sembra in rampa di lancio pronte a raccogliere la difficile eredità delle sorelle Williams (su tutte la speranza/promessa Madison Keys e una Sloane Sthephens assolutamente da ritrovare), nel tennis maschile la situazione appare ben diversa.
Innanzitutto però credo sia doveroso partire con il relativizzare la parola crisi: negli anni recenti è vero che si sono susseguiti ottimi giocatori in grado di issarsi fino alla top ten (Mardy Fish un paio di stagioni fa e John Isner ancora oggi a ridosso dei primi 10), ma per un movimento che ha incarnato l’essenza della vittoria che conta, risultati come questi diventano alla fine insoddisfacenti.

Sono 11 anni che un tennista non trionfa nello Slam di casa (Roddick 2003), sempre 11 anni che non si vince in Australia (Agassi 2003), addirittura 14 anni di digiuno a Wimbledon (Sampras nel 2000) e ben 15 al Roland Garros (sempre Agassi ma nel ’99): è vero che Andy Roddick ha raccolto meno di quello che avrebbe potuto a causa del suo mal digerito dualismo con Roger Federer, ma comunque dopo di lui è venuto il buio più totale. E la situazione purtroppo non sembra poter migliorare nell’immediato.

Se andiamo ad analizzare la top 150 i tennisti americani sono nell’ordine: John Isner (classe ’85) al numero 12, un tennista dotato di un grande servizio ma che sembra avere ottenuto il massimo dai suoi mezzi fisici e tennistici; per arrivare al secondo rappresentante statunitense dobbiamo scendere giù fino alla posizione numero 62: Sam Querrey (classe ’87) fra infortuni vari e sempre più difficoltosi rientri sembra aver spremuto già il suo potenziale. Perlomeno però questi due sono riusciti a togliersi delle soddisfazioni: dietro di loro abbiamo Steve Johnson (classe ’89) al numero 64, Jack Sock (classe ’92) fresco vincitore in doppio a Wimbledon al numero 69, la promessa incompiuta Donald Young (classe ’89) al numero 70, Bradley Klahn (anno di nascita 1990) al numero 77, Tim Smyczek (1987) al numero 112, Denis Kudla (1992) al 122, Michael Russell (non proprio un giovincello con il suo 1978) al 137 e per finire l’altra promessa (finora) mancata Ryan Harrison (classe ’92) al numero 143. Alcuni buoni giocatori, che potevano rappresentare un ottimo prospetto e su cui sono stati fatti grandi investimenti da parte della USTA e degli sponsor, ma che fin adesso hanno tutti, chi più chi meno fallito a grandi livelli. Alcuni hanno dalla loro l’età e la possibilità di prendersi delle salutari rivincite, ma il tempo scorre e il disappunto dei tifosi aumenta.

C’è un gioco di parole negli States che paragona la crisi della borsa del ‘29 a quella del movimento tennistico maschile: quello che colpisce maggiormente è come tutto sia avvenuto in tempi relativamente brevi. Se parliamo di federazioni in grado di seguire la crescita degli atleti, quella statunitense non sembra avere tuttora eguali: forte dei successi del passato, ha sempre continuato a investire e puntare decisa sui campioni del futuro, o presunti tali, attraverso accademie e sovvenzioni che non hanno lasciato nulla di intentato. Magari talvolta la foga ha fatto prendere delle brutte cantonate: Donald Young iper sponsorizzato a 16 anni e poi deludente su tutti i fronti ne è l’esempio peggiore.
C’è chi dice che il problema sia a monte e che provenga dalle famiglie, con i giovani ragazzi ineducati e incapaci di fissarsi dei reali e concreti obiettivi: su questo sono in totale disaccordo e sebbene ci siano delle situazioni al limite, non credo che i problemi nascano all’interno dei vari nuclei familiari, anche considerando che questi giovanissimi vengono presto affidati alle suddette accademie o scuole, con il chiaro intento di responsabilizzarli e non farli dipendere proprio dalle famiglie di origine. Paradossalmente quindi, secondo la tesi sopracitata e peraltro abbastanza diffusa, siccome in Francia si susseguono con regolarità delle giovani promesse tennistiche, vuol dire che le famiglie sono più equilibrate e con i piedi ben piantati per terra. Benvenuti al teatro dell’assurdo.

Perosnalmente credo ci possano essere errori di programmazione, investimenti sbagliati su talenti che tali non sono, un adagiarsi su vittorie pregresse dimenticando che presto finiranno o un confronto proprio con un passato che comunque sarà sempre migliore e per questo demoralizza: il talento è comunque un dono, un qualcosa che non è costrubile in laboratorio o su un taccuino, lo si possiede o no. Agli Stati Uniti non resta che sperare nell’esplosione improvvisa e inattesa di un giovane o di un giovanissimo (Stefan Kozlov ’98, Francis Tiafoe sempre ’98 o il ’97 Alex Rybakov), che possa riportare un movimento ai fasti che merita.


Alessandro Orecchio


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15 commenti. Lasciane uno!

Roby (Guest) 21-07-2014 19:15

Servizio e dritto non pagano più come un tempo,il tennis di Bollettieri degli spara palle è finito con il rallentamento delle superfici e con racchette che permettono di rimandare di la qualunque attacco. Ora c’è nuovo tennis la maratona da fondo lungo la linea laterale e non vedo nessun americano bravo in questo.

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Sinnet (Guest) 21-07-2014 12:06

Beh non mi sembra tanto in crisi , come ha scritto qualcuno non è che in tutte le ere puoi avere il num 1 e 2 del mondo …ci sono anche gli altri . I giocatori nei primi 100 ce ne sono parecchi e alcuni ancora giovani in piu abbiamo qualche yunior che promette bene….semmai parliamo della crisi del tennis Svedese che è molto piu drammatica .

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dave (Guest) 20-07-2014 22:30

se non hai talenti, puoi avere tutte le strutture ecc ecc che vuoi, non vai da nessuna parte..ora vedremo con le nuove leve

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Koko (Guest) 20-07-2014 20:46

Scritto da paolo
L’autore del pezzo ha dato poco risalto al fatto che USA hanno giocatori junior di sicuro avvenire a partire da KOZLOV, NOAH, TIAFOE..
Come si fa a trascurare un aspetto cosi importante
KOZLOV E TIAFOE hanno 16 anni e dominano negli under 18 vi pare poco ?
Tra un anno li vedremo già nel circuto proffessionistico

Ma sapete chi è Tiafoe? Figlio di un immigrato africano che viveva in un centro con campi di tennis con il padre come custode! Giochicchiava da piccolissimo insieme ad altri giovani americani e a forza di volersi mettere in luce è riuscito ad impressionare i tecnici con grandissime motivazioni. Quindi non un Americano di Boston ma uno che può avere la motivazione di Djokovic di cui parlavo.

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Diaboliko (Guest) 20-07-2014 18:35

Il movimento è quello attuale giusto soffermarsi più su loro piuttosto che sugli juniores!!! Criticare arte italiana.

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lallo (Guest) 20-07-2014 17:40

C’è anche tanto ‘Armstrong’ nella storia del tennis. Quei blocchi di giocatori della stessa nazione esplosi e poi spariti (come se i movimenti sottostanti collassassero senza ragione…)

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sasuzzo 20-07-2014 17:31

il buio pesto da 40 anni circa è SOLO italiano

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Italian Flag 20-07-2014 14:48

Kozlov sta giocando le qualificazioni a Lexington CH e ha passato anche il primo turno.
Oggi gioca con Gabb n.484 e avrebbe un terzo turno nel peggiore dei casi con Novikov n.450. Non è escluso che riesca a qualificarsi.
Tra i giovani americani cresce bene anche Jared Donaldson che a 17 è già attorno ai 300 ed ha recentemente passato un turno a Binghamton.

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iox (Guest) 20-07-2014 14:47

Emergere nel tennis attuale non è facile. L’ormai estensione globale del movimento ha reso questa disciplina la frontiera dello sport. E come in tutti quei campi dove si naviga lungo la linea di frontiera vanno avanti chi osa,chi sperimenta nuove soluzioni per emergere. Gli americani culturalmente non hanno questa capacità in modo autonomo,hanno sempre dovuto comprarla all’estero. Il tennis di vertice sarà sempre lo specchio della qualità del settore tecnico impegnato. Non credo che si possa dire che i francesi hanno famiglie ideali o sia una razza superiore al resto del mondo…

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paolo (Guest) 20-07-2014 14:28

L’autore del pezzo ha dato poco risalto al fatto che USA hanno giocatori junior di sicuro avvenire a partire da KOZLOV, NOAH, TIAFOE..
Come si fa a trascurare un aspetto cosi importante
KOZLOV E TIAFOE hanno 16 anni e dominano negli under 18 vi pare poco ?
Tra un anno li vedremo già nel circuto proffessionistico

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Koko (Guest) 20-07-2014 14:15

Scritto da Figologo

Scritto da Koko
Probabilmente anche i metodi per formare questi giocatori sono diventati obsoleti. Ciò su cui in genere gli Americani puntano (il big serve il killer forehand di bollettieriana memoria) sono solo un aspetto da spaccone nevrotico-roddikkiano Americano del quick fix aggressivo ma non totalmente determinanti al cospetto di tennisti europei che si muovono benissimo in campo, difendono molto meglio e sono tatticamente più avveduti. Un Djokovic USA è difficile immaginarlo perchè è troppo bravo a difendere e contrattaccare per la sua sofferta e minacciata origine nazionale.

Ah esistono anche aspetti di questo tipo al di là della popolazione di uno Stato?
Spiegaglielo a Mirko, che magari capisce.

Nell’ambito del fenomeno sono aspetti motivazionali non trascurabili. Ciò non vuol dire che tutti i Serbi saranno dei fenomeni ma che il fenomeno Serbo sarà più fenomeno grazie alle sue origini disagiate e al sacrificio/motivazione necessari per emergere. Il fenomeno USA si rilassa e si atteggia e dunque diventa come Young perchè il tennis non è basket!

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Figologo (Guest) 20-07-2014 13:54

Scritto da Koko
Probabilmente anche i metodi per formare questi giocatori sono diventati obsoleti. Ciò su cui in genere gli Americani puntano (il big serve il killer forehand di bollettieriana memoria) sono solo un aspetto da spaccone nevrotico-roddikkiano Americano del quick fix aggressivo ma non totalmente determinanti al cospetto di tennisti europei che si muovono benissimo in campo, difendono molto meglio e sono tatticamente più avveduti. Un Djokovic USA è difficile immaginarlo perchè è troppo bravo a difendere e contrattaccare per la sua sofferta e minacciata origine nazionale.

Ah esistono anche aspetti di questo tipo al di là della popolazione di uno Stato?

Spiegaglielo a Mirko, che magari capisce.

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Andy86 (Guest) 20-07-2014 13:48

cmq Isner è anche stato top 10, è vero che dietro non cè molto ricambio apparte Kozlov, però neanche puoi avere in tutte le epoche due come Agassi e Sampras…

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Psyco Fogna 20-07-2014 13:45

Isner, Querrey, Sock, Young, Johnson e poi tanti altri di livello.
Certo non sono al top ma siamo ben più in crisi noi 🙄

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Koko (Guest) 20-07-2014 13:44

Probabilmente anche i metodi per formare questi giocatori sono diventati obsoleti. Ciò su cui in genere gli Americani puntano (il big serve il killer forehand di bollettieriana memoria) sono solo un aspetto da spaccone nevrotico-roddikkiano Americano del quick fix aggressivo ma non totalmente determinanti al cospetto di tennisti europei che si muovono benissimo in campo, difendono molto meglio e sono tatticamente più avveduti. Un Djokovic USA è difficile immaginarlo perchè è troppo bravo a difendere e contrattaccare per la sua sofferta e minacciata origine nazionale.

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