Roberto Bautista Agut: una crescita cominciata ai Giochi del Mediterraneo
13 Luglio 2014: lo spagnolo Roberto Bautista Agut alza al cielo il suo secondo trofeo stagionale (anche secondo titolo in carriera) sulla terra rossa di Stoccarda, superando in finale un falloso Lukas Rosol e bissando il recente successo sull’erba olandese di ‘s – Hertogenbosch. Con Stoccarda lo spagnolo dimostra una volta per tutte la sua capacità di adattamento a ogni superficie, grazie a uno stile di gioco potente ma geometrico che ben si sposa con ogni terreno, senza dimenticare una punta di quella regolarità che in passato ha dato vita a una generazione di fenomeni spagnoli.
Con questa nuova vittoria e fresco di best ranking (n°18 della classifica ATP), Bautista Agut ha dimostrato che, soprattutto nel tennis maschile, i termini per una vera e propria affermazione si sono allungati nel tempo, con vere e proprie esplosioni sportive in età da teenager che sono di gran lunga sempre più rare (gli stessi Dimitrov e Raonic hanno avuto bisogno delle loro tempistiche per emergere definitivamente): lo spagnolo classe 1988, che ha già compiuto 26 anni essendo nato in Aprile, sta vivendo infatti in questo 2014 l’anno della sua definitiva consacrazione, con risultati di prestigio costanti e che si sono ripetuti finora per tutta la durata della stagione, dall’Australian Open di Gennaio, passando per il Master 1000 di Madrid, attraverso scalpi eccellenti fino ai due già citati titoli.
Bautista Agut è stato un tennista certamente promettente ma che non ha ottenuto grandi riscontri da juniores: n°47 delle classifiche come migliore posizione nel Luglio del 2006, ha raccolto poca gloria anche nelle prove Slam. Un giocatore quindi che ha avuto una crescita lenta ma costante e che è arrivato alla piena maturazione fisica e sportiva anno dopo anno, aggiungendo quel quid pluris tennistico che lo ha portato fino alla top 20.
Giocatore Bautista Agut che gli appassionati nostrani ricorderanno per il suo trionfo “italiano” ai Giochi del Mediterraneo del 2009, che videro il torneo di tennis tenersi al Tennis Club Sports Complex di Pescara: in quell’occasione un giovane Bautista Agut trionfò in singolare (vincendo anche il bronzo nel torneo di doppio maschile) sconfiggendo in semifinale il nostro Matteo Marrai (classe ‘86), imponendosi poi in 4 set nella finale giocata contro il turco Marsel Ilhan (giocatore classe ’87 di medio livello con un passato anche da top100). Una vittoria significativa e simbolica che sembrava proiettarlo in un futuro roseo. Invece Bautista Agut non era ancora pronto.
Troppe volte la spasmodica attenzione riguardo a delle giovani promesse, le aspettative attorno a quelli che da juniores appaiono agli occhi dell’esperto di turno come il campione del futuro, rischiano di comprometterne soprattutto la maturazione psicologica, condizionandola nel momento in cui, insieme alla crescita sportiva deve camminare a braccetto anche quella personale. Sentirsi già grandi prima di arrivare da qualsiasi parte, esasperare le attenzioni nei confronti di chi invece avrebbe solo bisogno di un po’ di pace e tranquillità per raggiungere i propri graduali traguardi, rischia di far perdere l’obiettività e la lucidità, doti assolutamente necessarie in fasi della vita (di uno sportivo) che possono essere cruciali. Mi vengono in mente i nostri due tennisti Camila Giorgi e ancor di più Gianluigi Quinzi, giovani e che troppo spesso sono al centro di dibattiti feroci divenendo il bersaglio prediletto di facili critiche quando non ottengono i risultati attesi (o pretesi): lasciamoli maturare e diamogli i loro tempi, se diventeranno dei grandi campioni ci guadagneremo anche noi appassionati altrimenti ci avranno provato, ma con la testa libera da pressioni solo controproducenti. Le critiche vanno ovviamente bene, specialmente se costruttive, ma il vaneggiamento pretestuoso non ha davvero alcuna base per esistere.
Bautista Agut sarà partito lentamente ma ha oltrepassato i propri limiti, dovendo alzare l’asticella sempre di più e ponendosi nuovi traguardi da raggiungere. Come spesso leggo nei post e nei blog inerenti questo sport, “l’importante non è sempre come si parte, ma come si arriva”.
Alessandro Orecchio
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6 commenti
Se scrivessimo che ranking aveva Bautista Agut all’età di Quinzi o anche solo a quella di Cecchinato, moltissimi non ci crederebbero.
Ma se non sei top 30 a 20 anni non sarai mai nessuno (cit.). 😆
Parlando del nostro movimento è chiaro che scoprire che Quinzi è un Agut top venti sarebbe bellissimo ma non sposterebbe molto. A livello individuale è un obiettivo fantastico ma per coloro che sono in attesa di un top player rispondere con un Agut nostrano risulterebbe insulso! Già hanno dato in questo senso i vari Seppi e Fognini. Quello che probabilmente il movimento tennistico italiano insegue è un vero lottatore da slam che manca da tempo immemore per cui questa attesa beckettiana (di un Godot che mai arriva) rende impazienti anche a fronte di buoni tennisti che fanno il possibile. Ti serve una formula uno per competere al top e ti danno una Bravo truccata: può anche andare bene ma non è quello che tutti aspettano!
Perfettamente d’accordo sul fatto che bisogna dare a ciascuno i suoi tempi,a tennis si mette in campo la personalità che spesso tarda a formarsi a differenza dei gesti tecnici.Proprio per questo credo che il modo di agire della nostra federazione negli ultimi anni sia stato miope.Puntare tutte le risorse sul Quinzi di turno,piuttosto che su qualsiasi altro giovane giocatore che riesca a conseguire buoni risultati a livello juniores é un approccio sbagliato che sovraccarica il giocatore di pressione oltre che di aspettative eccessive (con ciò non intendo attaccare quinzi ovviamente,ragazzo serissimo e umile,mio coetaneo per altro per cui concedetemelo come esempio).Credo piuttosto che sarebbe più intelligente dare più possibilità a più ragazzi di giocare e “ritardare” il momento dell’investimento vero e proprio,dopo i 18 anni almeno.Un sincero augurio a tutti gli azzurri e buon tennis a tutti
Ma ragionare allo stesso modo su quinzi????
Parole sante
L’italico tifoso rifugge in prima persona dal lavoro serio e costante necessario per arrivare in ogni campo. E’, povero lui, ma poveri anche noi, concentrato sul risultato, non sulla prestazione.
Vuole il campione assoluto già bello che confezionato e presentato sul piatto d’argento, dimenticando il detto:
NON esiste pranzo gratis!