Spacca Palle: Un primo “rosso” che non ti aspetti
A volte mi chiedono “perché ami così tanto il tennis?”. L’assist alla risposta arriva dalle sensazioni uniche di weekend vissuti a stretto contatto con il nostro sport, come quelle provate lo scorso fine settimana a Monte Carlo. Un luogo fuori dal comune, dove il tennis diventa qualcosa di maledettamente bello, diverso, che mi emoziona come poche altre arti umane. E che spesso riesce ancora sorprendermi, proprio come quest’anno. Tornare ogni primavera al Country Club è un’esperienza impagabile. Il breve tragitto col treno da Villefranche-sur-Mer ti introduce nel clima di magia e fascino del torneo, attraversando le meraviglie di quel golfo baciato da un mare che più azzurro non si può; dove il tempo sembra scorrere più lentamente, a darti qualche attimo supplementare per assaporare i colori di una natura straordinaria. Quindi passi a Beaulieu, dove nella stessa settimana incroci per strada (e sui treni…) i giovani impegnati nell’importante torneo junior, carichi di borsoni e di speranze, come quella di giocare tra qualche anno il 1000 monegasco.
Quando varchi le porte del Country Club e ti addentri negli angusti corridoi si avverte nell’aria il profumo della storia che qua è stata scritta, e un mondo variopinto ti scorre letteralmente intorno. Per le ripide scalinate è un via vai continuo e disordinatamente regolare di appassionati ed inservienti, ma anche coach, giornalisti, giocatori ed ex giocatori, che difficilmente mancano all’appuntamento del Principato. Ne incroci a decine, da Guy Forget ad Ocleppo, da Leconte a Johansson con la sua biondissima famiglia al seguito. Salendo verso la terrazza superiore riservata alla stampa il panorama verso il mare si fa sempre più incredibile, ed il mare sembra non finire mai all’orizzonte, in contrasto con le rocce che sovrastano le tribune, imponenti come la storia del torneo. E’ un luogo unico, che si può amare o persino odiare nei suoi eccessi (prezzi folli, le rumorose colazioni a vista centrale, snobbismo a go go ed altro ancora…) ma che non ti lascia indifferente. Di sicuro sarà ricordato a lungo il weekend appena archiviato. Dopo troppe edizioni ingrigite da finali già scritte quest’anno la sorpresa è venuta dal campo, regalandoci spunti notevoli. Solo un bizzarro collega di Zurigo al venerdì mattina si diceva stra-sicuro che ci sarebbe stata una finale tutta svizzera. Fortunato o visionario, alzi la mano chi si sarebbe spinto ad un pronostico così inusuale per il primo torneo sul rosso europeo. Proprio un paio di settimane fa avevo erroneamente ipotizzato ben altri scenari, aggrappato alle certezze di un Nadal granitico nel suo feudo monegasco, di un Djokovic pronto a difendere il titolo 2013, magari di un Fognini ancora “in the zone” dopo le ultime settimane di gloria. Pensare che un Federer arrivato all’ultimo momento con una wild card ed il Wawrinka del weekend di Davis a Ginevra potessero sfidarsi in finale era utopia. Invece è successo, per la gioia non solo dei nostri vicini di frontiera ma anche per coloro che amano il tennis classico, e magari tifano per qualche sorpresa. Monte Carlo ci ha regalato più di una sorpresa, ha proposto temi interessanti e insinuato qualche dubbio.
La finale all-swiss non è stata memorabile (come molti si attendevano) ma nemmeno brutta e per niente banale. E’ mancata soprattutto nel primo set quell’intensità ed agonismo estremo a cui siamo ormai abituati per la finale di un Master 1000, …ma siamo sicuri che sia un male? Il “disastro” di troppe finali Djokovic vs Nadal (et similia) è di aver fatto perdere a troppa parte del pubblico il senso della bellezza del tennis, di uno sport che è debordato in altro perdendone l’essenza: destrezza e varietà. Anche se a strappi, Stan e Roger hanno prodotto proprio l’essenza del tennis sul rosso, con schemi vari e mai ripetitivi. Hanno alternato accelerazioni a momenti di studio, producendo decine di winners usando tutti i colpi e tutto il campo. Discese a rete, passanti. Chi si attendeva che il maggior carisma di Federer potesse ancora prevalere è rimasto deluso. La sensazione dal campo era di un Wawrinka inizialmente troppo teso, trattenuto, incapace di lasciare andare a tutta il suo braccio, come invece era stato capace nei match precedenti. Appena s’è scrollato di dosso gli ultimi dubbi dominando il tiebreak, ha preso il miglior ritmo ed il controllo del campo, riducendo Federer a comparsa. Nella bilancia di un match è sempre difficile pesare i meriti dell’uno ed i demeriti dell’altro, ma stavolta ritengo che i meriti di Wawrinka siano superiori ai demeriti di Federer, a cui addebito solo la mancata reazione nel tiebreak all’allungo del compagno di Davis, aggravata da un pessimo primo game del terzo set che gli è di fatto costato il match.
Vittoria a sorpresa di Wawrinka? Sì e no. Sì perché è la sua prima vittoria in un 1000, appena uscito dal difficilissimo weekend di Davis a Ginevra. Ma proprio quel weekend vissuto in chiaroscuro con gli occhi di un’intera nazione puntati addosso gli è servito a svoltare. Dopo la sbornia post Australian Open aveva giocato male e senza la giusta attitudine i due 1000 americani. In Davis era troppo teso, elettrico a tal punto da andare in cortocircuito e rischiare di far affondare la barca all’esordio in patria come n.1 nazionale. Troppo pesante anche per le sue spalle larghe. La reazione nel match della domenica, seppur mal giocato, è servita a far tornare il miglior Wawrinka, più focalizzato e consapevole. Così che Stan sbarcato sul rosso (superficie che ama) ha ritrovato le sensazioni giuste, quella reattività ed esplosività che l’hanno portato a battere tutti i migliori. Il suo tennis è perfetto per la terra battuta: potenza, angoli, capacità di cambiare ritmo, non un vero punto debole tecnicamente. Andate a vedere la Race 2014: oggi Wawrinka non solo è il n.1 dopo 4 mesi di tennis, ma lo è con pieno merito avendo vinto 1 Slam, 1 Master 1000 e soprattutto avendo battuto praticamente tutti i migliori (Nadal, Djokovic, Federer, Ferrer, Berdych, Raonic). 20 vittorie e 3 sconfitte. Chapeau. Senza falsa modestia, ha dichiarato di considerarsi tra i favoriti per Roland Garros, sperando di arrivarci ancor più in forma fisica ed in fiducia. Gli ho chiesto cosa gli manca oggi per tornare al livello magico delle notti di Melbourne; con estrema franchezza mi ha risposto “non molto, solo essere in salute fisica, libero di testa e sentire bene la palla con il dritto. Continuo a lavorare per rafforzare quest’aspetto tecnico, insieme all’aggressività, perché quando vado troppo in difesa poi è complesso ribaltare ogni volta gli scambi”. Merita una nota David Ferrer. L’anno scorso era arrivato anche vicino a battere Nadal su terra, ma che ci riuscisse a Monte Carlo, dopo il suo incerto inizio di stagione, proprio non era prevedibile. Invece David non solo non ha mai tremato contro Rafa, ma l’ha letteralmente disarmato con una sinfonia di dritti pesanti ed efficaci. Da qua a Parigi anche il buon Ferrer non andrà mai sottovalutato, perché è entrato in forma proprio nel momento giusto, e darlo per morto è uno sport perdente.
Monte Carlo invece ha lasciato più di un dubbio sul duo di testa, Djokovic e Nadal. Nole ha passeggiato nei primi turni, sofferto nei quarti e quindi perso da ottimo Federer, seppur menomato dal problema al braccio che tuttavia pare non serio. Un pessimo momento per un infortunio, che se non prontamente recuperato rischia di compromettere la preparazione a Parigi, suo principale obiettivo. Un inizio di stagione davvero a strappi per il serbo, tra picchi di rendimento assoluti e qualche caduta, inusuale per il tennista mediamente più tosto e costante degli ultimi anni.
Ben diversa e totalmente inattesa la sconfitta ed il momento che sta vivendo Nadal. Non solo non aveva mai perso a Monte Carlo prima della finale 2013, ma erano anni che non salutava così presto un torneo sul rosso. Ancor più preoccupante della sconfitta è come questa sia arrivata. Rafa ha commesso una valanga di errori: 44 in due set, roba che in annate buone concedeva nell’intero torneo… Ad aggravare la debacle tecnica non è affatto piaciuto l’atteggiamento in campo, quella passività che lui stesso in press conference non ha nascosto, mostrandosi forse per la prima volta “nudo” e fragile. Ripeva “è un match di tennis, lui è forte e mi può battere. Però non capisco perché non sono riuscito a giocare con la mia intensità. E’ una cosa strana, che non mi spiego…”. Purtroppo per lui non è una novità nel 2014: anche se sul duro, la sconfitta contro Djokovic a Miami l’ha visto altrettanto passivo, o almeno incapace di una di quelle reazioni leonine e sportivamente esaltanti che mille volte gli hanno permesso di girare e riprendere match che parevano persi. Fisicamente dice di star bene, acciacchi noti a parte. Dove sta il problema? Difficile fare una diagnosi, se anche lui non se lo sa spiegare (o apertamente non lo vuol dire…). Vero che Monte Carlo è il primissimo grande evento sul rosso, ma proprio qua Rafael era solito darsi la prima grande spinta, ritrovare le sensazioni e la giusta cattiveria agonistica per dominare la terra fino a Parigi. Sarebbe un tantino affrettato far suonare l’allarme in vista di Roland Garros, ma questo Nadal non pare imbattibile. Serve un tennis più intenso, con ritmi superiori; deve ritrovare la sua velocità di crociera con cui conduce gli scambi in sicurezza senza quasi mai sbagliare se non sotto una pressione notevole. Deve assolutamente ritrovare una maggior profondità col dritto, con colpi forse un filo meno carichi e più penetranti. Vederlo affossare a mezza rete svariati dritti giocati dal centro del campo, senza dietro una idea e senza che un Ferrer l’avesse messo sotto è stato qualcosa di anomalo, quasi irreale conoscendo la sua costanza di rendimento. Un inizio di stagione problematico per Nadal. Prima la finale di Melbourne persa (in parte per sfortuna) da stra-favorito, poi quella di Miami travolto da Djokovic; ora una sconfitta prematura nel torneo che più gli è amico. Che la fatica fisica e soprattutto mentale di 10 anni di carriera così intensa e “demanding” inizi a presentare il conto? Troppo presto per trarre conclusioni. Troppe volte dopo esser caduto è stato capace di rialzarsi e ripresentarsi più forte di prima, tornando dominante. In attesa di risposte anche da Murray e perché no dal nostro Fognini, quest’inizio di stagione sul rosso è stato sorprendente, e personalmente graditissimo. La conferma di Wawrinka tra i grandi è una ventata salutare, visto che Stan gioca proprio un gran bel tennis, offensivo a tutto campo. Che il 2014 tennistico sia davvero nato sotto una stella nuova?
Marco Mazzoni
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3 commenti
Ebbene, ancora bravo a Marco Mazzoni. Leggendo il suo articolo riflettevo sul fatto che quasi mai nessuno riesce a farmi sentire i profumi di un luogo. E lui invece c’è riuscito…
Il tennis sarebbe lo sport di destrezza per eccellenza, probabilmente secondo in questo solo alla scherma. Ricordo, erano diversi anni fa, che ci fu una competizione televisiva tra sportivi di diverse discipline, una specie di giochi senza frontiere in edizione speciale (una sola puntata) che metteva a confronto vari campioni del tempo. Ricordo senz’altro partecipare Bjorn Borg (ne sono certo), Adriano Panatta (non ne sono sicurissimo, ma mi pare fosse lui), Gustav Thoeni (sci), Michele Maffei (scherma), ma ce n’erano molti altri… Le prove erano la corsa, il giro di pista in bicicletta, il salto in lungo… insomma prove prevalentemente atletiche.
Ebbene, lo schermidore Maffei arrivava sistematicamente ultimo in tutte le gare, non essendo un’atleta in senso stretto, ma uno sportivo di destrezza. Panatta (o qualcun altro che adesso non ricordo, ma certamente rappresentante del tennis di destrezza) arrivava sistematicamente penultimo. Ma la cosa che colpiva il telecronista di allora era che Borg, nonostante fosse un tennista, arrivasse spesso a giocarserla con i migliori, gli atleti veri. Era il giro di boa del tennis, tra classicità e modernità, e Bjorn Borg rappresentava la virata di un’intera disciplina sportiva.
@ Much (#1047836)
Much grazie 🙂 però andrei piano a parlare di “prossimo dominatore”. Intanto quel che è riuscito a fare Stan in questi primi 4 mesi di stagione è il meglio che è riuscito a fare un outsider rispetto ai fab four dal 2007 ad oggi. Che non è poco.
Mi fa enormemente piacere l’ascesa di Wawrinka perché vale quasi sempre il prezzo del biglietto, e sa proporre un tennis con elementi classici ma in forma molto moderna come potenza e capacità di spinta.
Grazie, Marco, per questo ennesimo bell’articolo! Effetivamente – viste le difficolta degli (ex?) Fab Four – sta prendendo quota un’ipotesi che poco tempo fa sarebbe stata ridicola: Stan come dominantore assoluto della stagione tennistica 2014! Data l’indiscussa purezza del suo gioco e la maturità anche umana raggiunta dallo svizzero non posso che essere d’accordo con te che già questa possibilità è una gran bella notizia per il tennis mondiale!