Spacca Palle: La riscossa dei canguri? (analisi del movimento australiano)
Dici Australia e ti viene in mente Rod Laver, l’unico capace di realizzare per due volte il grande Slam.
Dietro di lui, e non di molto, decine di altri plurivincitori di Majors; come Lewis Hoad, quello che a detta di molti storici ha giocato il tennis migliore di sempre.
Paese maschilista? Macché, Margaret Court ne ha vinti 24 nel femminile, e con il doppio si sale a 62, record all time. Coppa Davis? Kooyong era inespugnabile, o quasi, e 28 insalatiere sono finite ai canguri. Pound for pound, l’Australia è il paese a maggior trazione tennistica al mondo, dove lo sport del corri e tira è radicato nella cultura sportiva e non. Un paese dove la gente al pub non discute solo di politica, belle donne e motori, ma anche di dritti in cross e risposte vincenti.
Eppure questa grandeur dopo i successi di Rafter e Hewitt a cavallo del nuovo secolo si è a dir poco offuscata, ed i ricordi dei trionfi sono relegati a foto in bianco e nero, oppure già vecchie e un po’ sbiadite.
Nel moderno formato digitale ben poche foto di gloria. Con Lleyton Hewitt che a metà anni 2000 ha iniziato la sua discesa, numeri impietosi confermano come gli “wallaby” con racchetta siano letteralmente precipitati in un inferno che mai avevano conosciuto. Fino a tutti i ’70s erano leader; a metà anni ottanta contavano comunque mediamente 8 tra i 100 del ranking, con Cash che vinse Wimbledon 1987 ed era uomo forte nei grandi tornei; nei novanta mediamente 6 tra i best 100 ATP, con le punte Rafter (due Slam vinti e molto altro) e Philippoussis.
Poi nel nuovo secolo dopo l’intenso ma breve ciclone Hewitt (fu n.1 del mondo e vinse due Slam) la picchiata. Oggi solo un indomito ma quasi pensionato Lleyton tira la carretta del tennis dei canguri, soprattutto nella brevissima stagione su erba e in Coppa Davis; in attesa di notizie da Tomic, grande talento ma perso in mille faccende personali e animato da un carattere che lo sta penalizzando non poco, rischiando di bruciarlo del tutto.
Altri onesti operai della racchetta popolano il movimento australiano, ma senza voli pindarici su di loro e risultati modesti. Nel 2008 per prima volta dall’era Open nessun aussie ha vinto un torneo; nel 2009 Hewitt ha interrotto il digiuno con il modesto titolo di Houston; idem nel 2010 con la vittoria di “Rusty” ad Halle. Di nuovo “zero tituli” negli opachi 2011 e 2012, un abisso rispetto ai fasti del passato; fino al primo sospirato successo di Tomic a Sydney 2013, unico acuto di una stagione troppo scadente per far gridare all’esplosione di Bernard, anzi condita da episodi noti e discutibili che fanno il cielo sopra di lui sempre più fosco. Tra il 2009 ed il 2011 il consumato Hewitt è stato l’unico top100 in classifica, escluso brevi incursioni di gente come Luczak (che era tra l’altro polacco…). Numeri da paese di serie B, inaccettabili per la terra a maggior passione tennistica al mondo.
Cosa è successo al gigante australiano? Come è possibile che siano caduti così in basso? Il crollo è stato troppo evidente per far pensare sola alla cattiva sorte di una generazione sfortunata. Non è facile trovare una risposta, perché il fenomeno è complesso. Analizzando vari aspetti, forti indizi portano verso tre concause: la rivoluzione “agassiana” nel modo di giocare, l’abbandono dell’erba e cattivi-miopi investimenti.
Gli australiani sono storicamente grandi attaccanti, angeli con la “faccia sporca” che assaltavano la diligenza tennistica, correndo appena possibile ad aggredire la rete. Funamboli della prima ora, equilibristi di talento dotati di coraggio senza pari. Capaci di giocare a tutto campo, ma proiettati sempre in avanti, dove eccellevano.
Perché giocavano così? Per il vento si dice. Scendere a rete era la loro religione per contrastare i forti venti aussie, ma anche per i cattivi rimbalzi dell’erba, superficie dove quasi esclusivamente si giocava, e su cui era più facile chiudere a rete che piazzare un passante in corsa con i vecchi “legni” di un tempo. Ma erano dei naturali serve & volley anche per indole. L’australiano è uno spirito libero, uno che nel DNA ha l’avventura, ricordi ancestrali di viaggi da terre lontane per scoprire, esplorare, e attaccare all’arma bianca per non esser attaccato; agire per difendersi dalla siccità, dal vento, dalle bestie. Questo tramutato in termini tennistici vuol dire attaccare la rete, costringere l’avversario a difendersi perché il vero canguro fa la prima mossa. Come contro il “crocodile”, dominatore di paludi e fiumi down under: se aspetti che sia lui a muoversi, sei morto. Gente rude, plasmata nel carattere da una terra aspra quanto bella, ma sincera. Come Pat Rafter da Brisbane, uno che non le mandava a dire nemmeno a Sampras che in quegli anni tiranneggiava. Il carattere quindi un punto di forza, perché da loro ci si affronta in prima persona, si arriva anche dalle parole ai fatti, ma chiarito il tutto a suon di sganassoni, via per una birra insieme. Il rancore abita altrove, non laggiù.
Però da fine anni ’80 il tennis ha iniziato a cambiare, tanto che i giovani formatisi nei primi anni ’90 hanno intrapreso strade diverse. Desertificate dal cemento che ha massificato sin troppo il nostro sport. Si corre e si tira, a tutta, dal fondo. Grazie a racchette e corde che permettono di lasciar andare il braccio a mille, con spin vorticosi che tengono la palla quasi sempre in campo, tentare la via della rete con continuità è ritenuto un azzardo anche da Federer, uno che a livello di talento sta lassù nell’Olimpo come i grandi aussie. A maggior ragione da quando sull’erba si gioca solo a Wimbledon e dintorni, e pure l’erba è stata ridotta a qualcosa di soltanto verde ma che col tennis di un tempo non ha niente a che spartire…
Con la scomparsa del tennis serve & volley, che ha visto proprio nell’australiano Rafter l’ultimo “panda”, e soprattutto con l’abbandono del tennis su erba l’Australia ha subito uno choc culturale. Da loro il tennis era quasi esclusivamente quello sui prati, e tutto veniva programmato perché i migliori amanti della racchetta fossero scattanti, reattivi verso la rete. Insegnamenti stratificati dai tempi di Hopman, il primo coach “moderno”, che iniziò la scuola australiana con metodi nuovi, creando con lavoro, disciplina e insegnamenti mirati un campione dopo l’altro. Tutti erbivori, tutti serve & volley. Un piccolo aneddoto risalente a qualche lustro addietro spiega l’amore degli aussie per il tennis, e per l’erba. Vagando per le città vedevi campi da tennis a iosa, “…ma perché sono tenuti così male” chiede lo sprovveduto turista? “Perché ci si gioca di continuo, non si fa a tempo a rimetterli che son già distrutti”. Niente di diverso dai nostri campetti di calcio in periferia, se ci pensate bene.
La rivoluzione copernicana nel loro sport è venuta quando i dirigenti della federazione hanno deciso di voltare pagina, “modernizzandosi” con l’adozione del cemento. Addio Kooyong e la sua storia. Addio feudo verde, che in Davis era imbattibile. Si costruisce Flinders Park, cemento. Sempre veloce, ma non è la stessa cosa perché lì sì che il corri e tira è efficace (quante volte Agassi ha trionfato, fino ai giorni nostri, con il torneo dominato da Djokovic). Si sceglie il cemento per non restare indietro, ancorati ad un passato tanto glorioso quanto isolato dal resto di un mondo che stava cambiando velocemente. Si sperava così di scongiurare il movimento da un grigiore austroungarico. Ma a parte l’arrivo di un piccoletto chiamato Hewitt, che correndo e tirando mazzate in spin vinse due Slam diventando n.1 del mondo a 20 anni, ecco il vuoto.
Il baratro l’avevano creato loro stessi.
Passando al cemento erano stati commercialmente superbi: fu salvo il loro torneo, oggi uno Slam al pari degli altri tre. Ma il loro movimento? Azzerato nottetempo. Nemmeno il sanguinario Cortes riuscì ad inculcare in pochi anni la nuova religione agli indios messicani, figuriamoci rivoluzionare il tennis storicamente più vincente di sempre senza un piano strutturale.
Questo è stato il vero peccato originale. La svolta partì dal terrore di perdere il loro torneo dello Slam, e non fu adeguatamente preparata a livello di tecnici e strutture, come oggi rivendicano campioni come Alexander e Newcombe. Non si prepararono nuovi coach, nemmeno spedendoli all’estero (magari negli Usa che ci erano passati per primi). Si perse una tradizione che si tramandava da una generazione all’altra, da ex campione a giovane. Furono cancellati decine di campi in erba. Addirittura molti non furono riconvertiti in cemento o rebound ace perché superfici costose. L’ex campione Alexander punta il dito: “Abbiamo perso troppe strutture e ne abbiamo poche d’eccellenza come quella di Adelaide (dove è nato Hewitt, ndr). Meno campi, ma anche pochi investimenti rispetto ad altri sport come il calcio che ha puntato forte sui giovani e nelle scuole, ed è cresciuto. Il governo protegge gli spazi verdi, le piscine… perché non il tennis che è parte della nostra storia?”. Rincara la dose Newcombe: “Eravamo famosi per il nostro gioco di volo e il tennis è cambiato. Però i nostri tecnici sono rimasti indietro e ne stiamo pagando il ritardo, da anni”. Al termine di Wimbledon 2012, con risultati orribili per i canguri in uno Slam a loro storicamente amico, McNamee ha tuonato contro l’intero sistema tennis del suo paese: “E’ il momento più triste che io ricordi nella storia del nostro tennis, probabilmente abbiamo toccato il punto più basso dal 1938 (nessun australiano al secondo turno di Wimbledon, ndr), è sconcertante che siamo ridotti così male… Hewitt divenne n.1 e questo ha mascherato problemi che ci trasciniamo da anni, troppi. E’ la filosofia del nostro movimento ad esser totalmente sbagliata! La base ha prodotto negli ultimi 10 anni discreti talenti, ma è stato completamente sbagliato il lavoro su di loro nel periodo delicato del passaggio verso il professionismo.
I tecnici hanno in gran parte la responsabilità dei problemi che abbiamo oggi. Ebden per esempio ha cambiato 3 coach in un anno, rivoltando ogni volta tutto il lavoro fatto… senza continuità di lavoro, programmazione a lungo termine e l’approccio giusto non è possibile creare buoni giocatori, aiutarli nella delicata fase di transizione verso il duro mondo Pro”. Durissimo Hewitt: “La troppa politica sta uccidendo il nostro sport”. Più costruttivo Rafter: “C’è ancora fame di tennis, lo dicono gli ascolti tv e i tanti ragazzini che giocano. Però rispetto a USA o altri paesi non abbiamo strutture moderne e facilmente raggiungibili. Per un 14enne non è facile andare all’estero, perché siamo lontani da tutto… dobbiamo farli crescere, e bene, qua. Eravamo i leader, possiamo tornare ad esserlo”. La lezione è stata durissima, umiliante, ma è stata forse imparata.
Down under si sono realmente rimboccati le maniche.
Qualche investimento in nuovi campi è arrivato, alcune strutture di epoca quasi “vittoriana” rinnovate. Soprattutto si è insediata una generazione di tecnici più giovani, che hanno girato, osservato e studiato come si lavora in Spagna, in Argentina nel miracoloso feudo di Tandil, in Francia e nelle accademie della Florida. Gente sveglia, che pare abbia imparato in fretta. Dopo il periodo terribile in cui nei tornei junior i vari aussie non erano granché competitivi, dalla base sta partendo la riscossa. Nel mondo junior si assiste ad un nuovo fermento. Alcune racchette australiane sono indubbiamente tra le più promettenti della next generation, come Kyrgios (miglior giovane del 2013), Kokkinakis, Saville e la Barty. Ho avuto modo di osservare dal vivo il gigante Kyrgios durante lo scorso Roland Garros, ha un reale potenziale. In tribuna a seguirlo vari tecnici del suo paese, che raccontavano come lui sia un grande lavoratore, una spugna pronta ad imparare tutto quel che serve ad emergere. Ad un mese dall’inizio della stagione australiana di tornei, molti scommettono che proprio Kyrgios potrebbe essere la sorpresa, magari riuscire ad entrare già nei primi 100 ATP dopo l’Australian Open. “Fisicamente deve ancora lavorare molto sulla velocità – dice Linda Pearce, giornalista australiana specializzata nel tennis – e crescere nella capacità di soffrire in campo quando è messo sotto ed è costretto a rincorrere l’avversario. Però i suoi colpi fanno molto male, sono già di alto livello”. Dicono down under che Kygios è solo la punta di un iceberg bello grosso, formato da parecchi ragazzini e ragazzine classe ’99 – ’01 molto interessanti, modernissimi e su cui si sta lavorando al meglio con metodologie nuove rispetto al passato. Giocatori plasmati per il tennis del 2000 ma con un DNA grintoso e proiettato all’attacco, come nel glorioso passato. Un tempo dominavano il circuito con il movimento più impressionante di sempre. Torneranno di nuovo al vertice?
Marco Mazzoni
Classifica ATP Giocatori AustraliaSettimana 44 - 30-10-2017
TAG: Bernard Tomic, Hewitt, Kyrgios, Lleyton Hewitt, Luczak, Marco Mazzoni, Nick Kyrgios, Spacca Palle, Tomic
Bellissimo…”gli australiani storicamente grandi attaccanti, angeli con la faccia sporca che attaccavano la diligenza tennistica, correndo appena possibile ad aggredire la rete” 😀
Bell’articolo Marco, l’ho pubblicato sulla mia pagina Facebook !!!
Sui giovani la loro punta di diamante se la vede con la nostra, Gianluigi Quinzi!!!
E sempre forza al vecchio e grintoso leone Hewitt!!
🙂
Roberto
@ Andreas Seppi (#979958)
ciao, ci pensa la redazione, cmq trovi la mia email sul mio sito personale (batti su google e lo trovi)
Ciao Marco, non saprei come scriverti…
quando si parla di australia ho i cuoricini agli occhi
@ LiveTennis.it Staff (#979915)
Grazie mille, gentilissimi!
@ Andreas Seppi (#979929)
Invia una mail ad info@livetennis.it e ti inviamo l’articolo di Marco 🙂
@ Andreas Seppi (#979929)
ti ringrazio Seppi 🙂 se vuoi scrivimi in prv per email e ci penso io
gran bello articolo, per me poi che amo l’australia e la sua cultura…complimentissimi ancora!
per la REDAZIONE potrei riceverne uno per via email ?
@ Car68 (#979913)
http://www.livetennis.it/tag/spacca-palle/
Eccolo. Un abbraccio 🙂
Davvero interessante… Una domanda per la redazione, c’è una sezione del sito dove si possono leggere gli “spacca palle” precedenti? Io non l’ho trovata…
che cultura per il tennis quella australiana, incredibile, dovremmo prenderne esempio!
FORZA CANGURI…forza vecchio Leone Lleyotn, sperando nell’esplosione di Tomic, Mitchell ecc
Molto interessante….