Spacca Palle: Serbia, dove Djokovic e il tennis sono più di uno sport
Si dice che nella lotta un animale ferito diventa ancor più forte e aggressivo. Proprio quel che è accaduto a Novak Djokovic in quest’autunno tennistico. Ferito dalla brutta sconfitta agli US Open contro il rivale di sempre Nadal, e ancor più duramente dal sorpasso nel ranking, il serbo ha reagito con veemenza.
All’avvio della stagione asiatica proprio su questi schermi avevamo invocato una svolta in Djokovic, una scossa. Detto fatto. Nole ha inanellato una serie pazzesca, giocando con rabbia e feroce determinazione, vincendo tutto quello che c’era da vincere nell’ultima parte di stagione: Pechino, Shanghai, Bercy e il Master. Proprio a Londra lunedì scorso s’è confermato campione senza perdere un match, dando una seconda “lezione” a Nadal dopo quella di Pechino, curiosamente con lo stesso identico score e tipo di partita, dominata sul piano tecnico, mentale e dell’intensità.
In quest’autunno tennistico Djokovic ha ritrovato non solo la vittoria, ha ritrovato il suo miglior tennis, degno del suo irripetibile 2011. Ha ritrovato quell’aggressività che l’aveva reso irresistibile, la massima efficacia del servizio (al top nei momenti caldi) e del diritto; ha ritrovato una costanza alla risposta mostruosa, mai visto nessuno nell’era moderna rispondere così lungo e preciso con tale continuità. Novak ha ritrovato quella lucidità ed intensità che pareva smarrita nei troppi vuoti all’interno della stessa partita.
Il ranking di fine stagione dice che Novak non è più il n.1, ma ampliando un po’ gli orizzonti temporali il serbo è stato indubbiamente il giocatore più forte e costante degli ultimi 3 anni. Dal 2011 Novak ha vinto 5 Slam, 2 ATP World Tour Finals, 11 Master 1000 e molto ancora, insieme ad altre 4 finali Slam perse. Guardando solo gli Slam la statistica si fa ancor più sontuosa: da Wimbledon 2010 Nole ha giocato solo finali o semifinali nei Major, la serie è aperta con 14 semifinali consecutive; e quest’anno potremmo dire che ha giocato in realtà 4 finali Slam su 4, considerando la semi con Rafa del Roland Garros come la vera finale. Costanza di rendimento spaventosa.
Ma il “Djokovic-express” è partito un filo prima del magico 2011, ha iniziato la sua corsa sfrenata con la vittoria in Davis nel 2010. Un appuntamento che Nole continua a ritenere pari per valore ed emozione al suo primo successo sul tour, al suo primo Slam, al suo primo Wimbledon. Un momento che ha condiviso con la sua gente, che lo considera un vero Dio in terra, e da cui ha preso la spinta decisiva e la consapevolezza definitiva di essere un vero n.1. E il caso vuole che appena archiviato il successo strepitoso del Master arrivi di nuovo una finale in Davis, ancora alla Belgrade Arena (indoor) da venerdì prossimo, a sfidare i campioni in carica della Repubblica Ceca.
Djokovic e compagni (Janko Tipsarevic e la collaudata coppia di doppio formata da Nenad Zimonjic e Ilija Bozoljac) andranno alla caccia della seconda insalatiera per la Serbia. Da ieri sui media balcanici non si parla che di tennis. Impazzano ovunque foto e articoli che esaltano la cavalcata vincente del Novak nazionale (22 match vinti di fila, battendo tutti i migliori), e gli organizzatori della Davis a Belgrado gongolano, con l’Arena già ampiamente sold out ed una buona sorte mica male per l’ultimo lancio dell’evento, già promosso da tempo nel paese con spot tv, mega-cartelloni in città e quant’altro. Berdych e compagni troveranno un clima a dir poco infuocato, oltre ad un Djokovic forse stanco ma caricato a mille per chiudere alla grandissima la stagione. Berdych in condizioni indoor è sempre un giocatore da prendere con le molle, ma questo Novak pare al momento inarrestabile.
Il doppio sarà molto importante nel decidere le sorti della finale, insieme allo stato di forma dei n.2 Stepanek e Tipsarevic, entrambi reduci da una stagione così così. Se la superficie sarà piuttosto veloce (probabilmente sarà tipo quella del Master di Londra, molto gradita a Nole), chissà che i cechi, in caso di ipotetico due pari, nel quinto decisivo match non scelgano il servizio bomba e la potenza di Rosol rispetto uno Stepanek forse stanco dopo il primo singolare del venerdì ed il doppio del sabato. Oltretutto i cechi saranno orfani del capitano Navratil, colpito da improvvisi problemi di salute e sostituito nell’occasione da Vladimir Safarik. Vedremo, di sicuro le emozioni non mancheranno.
Djokovic e la finale di Davis ci danno un assist ideale per parlare del tennis nel suo paese.
Tennis e Serbia erano ben poco sinonimi qualche lustro fa. A parte l’estemporaneo ciclone Monica Seles e qualche bordata di servizio del gigante Slobodan Zivojinovic, quando pensavi alla parola tennis ti venivano in mente i campioni prodotti dal gigante Usa, le prodezze acrobatiche degli australiani, la grande tecnica dei francesi. Semmai la consistenza della covata svedese, o l’inarrestabile invasione di russe e spagnoli. Ma la Serbia proprio no. Il mondo però corre veloce, velocissimo, e la storia cambia in fretta. Tanto che da qualche tempo Serbia è sinonimo di tennis, eccome. Dal 2008 ad oggi possono vantare 2 campioni Slam (Ivanovic e Djokovic, quest’ultimo pluricampione), tre n.1 del mondo (Jankovic, Ivanovic, e Djokovic con le sue 101 settimane al vertice e molti record raccolti), una Davis nel 2010 che potrebbe essere bissata il prossimo weekend.
Pure una finale di Fedcup nel 2012 persa contro Kvitova e compagne a Praga, da “vendicare” al maschile quest’anno. Numeri che parlano di un paese tennisticamente con punte altissime, ma anche con un movimento in crescita. Se Tipsarevic ha probabilmente imboccato la parabola discendente e Troicki è stato investito dal noto caso Doping (che ha mandato su tutte le furie Djokovic anche in vista della Davis), il fermento tra i giovani resta notevole, per un probabile ricambio molto interessante tra qualche stagione. Krajinovic sta risalendo dopo aver recuperato da problemi fisici, e stanno crescendo giovani di prospettiva come Djere, Milojevic (uno dei migliori nel ranking junior), e altri under più acerbi di cui si parla molto bene, come il giovanissimo Miomir Kecmanovic o Ivana Jorovic, solo per fare due nomi.
La Serbia ha sempre brillato nelle discipline di squadra, con il basket vero sport nazionale seguito da pallanuoto, volley, calcio e pallamano. Oggi anche il tennis è diventato un traino del mondo sportivo di Belgrado e dintorni. Tanto che se qualcuno viaggia nei Balcani, per conoscere questo paese particolare, ricco di bellezze, che si sta finalmente aprendo al mondo dopo una guerra brutta e pesante, troverà finalmente anche un po’ di tennis. Dove? Un po’ ovunque, anche dove meno te lo aspetti, dove nemmeno i pochi soldi del popolo riescono ad arginare la dilagante “tennis mania”. Una prova? Basta girare in auto per le aree periferiche di Belgrado, non necessariamente degradate o pericolose, ma del tutto sprovviste di campi da tennis… e vedere ugualmente ragazzini giocare letteralmente per strada, prendendo un muro qualsiasi a pallate, sfidando il Roger o Rafael di turno in un match immaginario verso la gloria, sognando di essere “the next one”. Figuratevi che i giovani più devoti allo sport della racchetta finiscono per giocare pure contro i possenti muri posteriori della cattedrale ortodossa di San Sava, “la più grande del mondo”. Sarebbe come prendere a furia di dritti e rovesci il retro di San Pietro a Roma… A parte quest’eccesso, è comunissimo vederli giocare nei cortili delle palazzine di periferia.
Tra queste spicca quella che è diventata una sorta di icona cittadina per chi ama il tennis, immortalata più volte dagli appassionati della street photography art: la facciata dell’edificio, ricoperta da barre verticali di cemento di dubbio gusto (sorta nel pieno dell’epopea comunista di Tito) è letteralmente crivellata di palline, irrimediabilmente conficcatesi all’interno delle fessure, ampie giusto la dimensione di una sfera gialla. Testimonianza di una passione travolgente, che va oltre la disponibilità economica e strutture adeguate.
Strutture. Parola che vuol dire tanto e segna uno spartiacque fondamentale tra sviluppo e stasi di un movimento. Non più di 10 anni fa Ivanovic e Jankovic s’allenavano d’inverno in una piscina senza acqua perché non avevano campi coperti praticabili. E non solo per i postumi della guerra, ma perché il tennis qua era qualcosa di esotico. Nole fu costretto ad emigrare in Germania e altrove, perché crescere adeguatamente “a casa” assecondando la sua vocazione era difficile, mancava letteralmente tutto. La crescita oggi è importante: secondo i dati della federtennis serba (dati del 2011, per esattezza), diretta allora dall’ex giocatore Slobodan Zivojinovic, dal 2005 c’è stato un incremento nelle scuole tennis del 40%, e sono nati 25 nuovi tennis club. Il circolo più dinamico, a parte quello storico connesso alla polisportiva del Partizan, è quello creato dalla famiglia Djokovic appositamente per ospitare il torneo ATP 250 organizzato dall’intraprendente family poco prima del Roland Garros, e che purtroppo è già scomparso dal calendario per difficoltà economiche e di gestione, schiacciato dalla crisi globale che ancora morde duramente.
Facile trovarlo il Novak Tennis Center: è nella città vecchia, proprio alla confluenza tra il Danubio e la Sava. E’ stato un grosso investimento a creare un club moderno, bello, dove si lavora sui giovani durante l’anno; soprattutto nella Novak Tennis Academy, collegata con quella di Bollettieri in Florida, dove si allena il fratellino Djordje. Metodologie moderne in campo, sfruttando esperienze fatte con Nole e la scia del campione, traino che vale più di mille parole a motivare i giovani talenti locali. “E’ un business, per noi ma anche per il paese. Mentre Novak porta avanti la sua carriera, noi portiamo avanti progetti sul tennis in Serbia. Non è solo un voler sfruttare il suo nome, vogliamo che questo grande momento per il tennis in Serbia costruisca qualcosa per il futuro” dice lo zio Goran, anche lui coinvolto negli affari di famiglia. Oltre ai club di alto livello, un’ulteriore testimonianza del tennis a Belgrado viene proprio da uno dei monumenti più interessanti da visitare, l’antica fortezza oggi divenuta museo militare. Basta avvicinarsi ad essa per notare che il fossato difensivo antistante è diventato un tennis club! Tra alte mura di pietra, sfavillanti campi in terra rossa accolgono senza sosta giovani e meno giovani. La effige di Novak campeggia un po’ ovunque a Belgrado. Non c’è un ristorante in cui non sia appesa una sua foto, che è sfruttata anche per scopi educativi come la campagna a favore della legalità chiamata “nuova Serbia pulita”: non più un paese cattivo, vigliacco, ma un popolo che le istituzioni cercano di stimolare alla lealtà, al rispetto della legge, proprio ispirandosi al campione della racchetta, un serbo vincente, corretto e a suo modo simpatico. Insieme alla bellezza della Ivanovic e alla verve della Jankovic, i campioni serbi con racchetta sono il miglior manifesto possibile per un popolo che cerca una nuova facciata internazionale.
Non solo tennis, è la società serba a vivere un momento di grande fermento. E’ una società molto giovane, ricca di studenti che hanno voglia di uscire dal paese, non tanto per scappare ma per conoscere, aprirsi a quel mondo che fino a pochi anni fa era lontanissimo.
La crescita è arrivata anche nei Balcani, soprattutto grazie a soldi stranieri e di faccendieri al limite della legalità. I giovani sono mediamente molto bravi con le lingue (…guardate Nole con che facilità parla italiano dopo solo 8 mesi in Liguria!), e inseguono modelli di vita estremamente occidentali. Sulla cultura e sul quotidiano dei giovani di Belgrado parole importanti sono venute dal regista serbo Vladimir Paskaljevic, che recentemente ha sbancato il Trieste Film Festival con il suo film “Davolja Varos” (Borgo del Diavolo). Il film racconta una serie di storie che si intrecciano nella Belgrado di oggi, usando proprio il tennis come filo conduttore, una metafora per raccontare il paese. E’ l’ennesima dimostrazione di come il nostro sport sia sulla bocca di tutti, quasi una parte quotidiana della vita del giovane medio di Belgrado. Già nel 2009 la Jankovic fu attrice di un cortometraggio sulla sua giornata tipo, grazie ad una giovane regista che scelse la star del momento (era appena diventata n.1 WTA) per lanciarsi sul grande schermo. Successo assicurato. Ecco le parole del regista Vladimir Paskaljevic: “Il tennis è proprio una mania in Serbia. Mi ricordo di una storia che finì sui giornali, un guardiano notturno perse il lavoro per vedere tutta la notte gli Australian Open 2008 vinti da Nole! Il mio film? Le vicende si svolgono nell’arco di una sola giornata, contrassegnata da un’importante torneo di tennis che, in un modo o nell’altro, influisce sulle vite di tutti i protagonisti.
Due sfaccendati poco attenti ad un neonato, un tassista violento, due ragazzine che amano il tennis ma che non hanno le stesse possibilità di realizzare i propri sogni perché una è ricca mentre l’altra è povera, una neo separata, un ginecologo in pensione, un gruppo di prostitute…. I personaggi vivono una sorta di ritratto corale, vivido, offuscati solo dall’ombra nera di un cinismo che lascia poche speranze. Credo che il film sia il mio riflesso personale di come vivo la società serba. La nazione ha iniziato una transizione, si sta avviando verso una direzione dove solo i soldi sono importanti. C’è una grande perdita di tutti gli altri valori morali. Che solo lo sport possa aiutarci a ritrovarli?”. Soldi. Djokovic è diventato anche un “oggetto” richiestissimo dal merchandising, tanto che il nome Novak è diventato un Brand, come nel ristorante creato in Belgrado dalla sua famiglia (quello storico di Kopaonik è chiuso da anni). Il Novak Cafe & Restaurant è una sorta di Hard Rock cafe con mille gadget a tema Novak-tennis, dalla classica maglietta al bicchiere, tutti esposti in bella vista appena varcato l’ingresso. Per chi fosse curioso, il Novak Cafe & Restaurant si trova nel Bulevar Arsenija Carnojevica 54A. I rating su tripadvisor & c. sono discreti, e manco a farlo apposta si mangia cibo prevalentemente italiano, con menù che costano diversi soldini… Di soldi abbisogna anche la federtennis del paese per far decollare il movimento.
Recentemente ha stanziato dei fondi per costruire un nuovo centro tecnico nazionale, con almeno 5 campi coperti, 15 all’aperto e un complesso residenziale per chi viene dalla periferia. Il costo della struttura è stimato in poco meno di 10 milioni di dollari, secondo le stime 2011 di Zivojinovic. Un extra budget notevole visto che la federazione ha un fatturato inferiore ai 2 milioni annui. La federazione è sita in un bel palazzo attiguo allo stadio della Stella Rossa di Belgrado, al n.26 del viale Stanboliskog. Il neo presidente federale Vuk Jeremic, politico subentrato a Zivojinovic nel 2012, sta cercando di continuare il lavoro dell’ex “bombardiere”, anche se le polemiche non sono poche, come ovunque dove c’è la politica di mezzo. Dichiarò Slobodan poco prima di cedere il posto: “La principale occupazione è quella di reperire fondi necessari a completare i lavori in corso e dotare Belgrado delle strutture adeguate a sostenere un momento di così grande crescita, per renderlo duraturo. C’è tanto da fare, veniamo da molto lontano e non solo per colpa della guerra che ha lasciato tante macerie. Oggi Belgrado è una metropoli di 2 milioni di abitanti, ma ancora ci sono meno di 80 campi da tennis, e solo una decina sono coperti. E qua l’inverno è lungo e freddo… Per fortuna sono lontani i tempi in cui Ana Ivanovic d’inverno si allenava all’interno di una piscina svuotata. Del resto allenarsi in quella specie di campo era comunque meglio che sulla neve, ma non possiamo permettere che tutti i migliori giovani siano costretti, come Novak, Ana e Jelena, ad emigrare all’estero per crescere verso il professionismo. Per fortuna i tempi in cui la Gencic spostava Novak ad allenarsi proprio dove avevano appena bombardato la notte, perché era improbabile che bombardassero due volte lo stesso punto, sono molto, molto lontani…”.
Belgrado è una città con un fascino particolare. Ostenta fiera le ferite dei crudeli bombardamenti, e vive di corsa, animata da un fervore di attività, ristrutturazioni, sviluppo, con una grande voglia di crescere, di imporsi agli occhi del mondo. Proprio come quel ragazzino di sei anni con i capelli ritti che entrando sul campo della saggia maestra Jelena Gencic le disse “Sono qua perché voglio diventare il n.1 del mondo”.
Marco Mazzoni
TAG: Djokovic, Marco Mazzoni, Novak Djokovic, Spacca Palle
bellissimo articolo e grazie anche per la dritta cinematografica. Lo cercheró subito.
@ Winter18 (#972839)
ciao Winter, grazie per il commento 🙂
guarda, infatti ho scritto appunto “estemporaneo” proprio per sottolineare come di Serbo avesse ben poco… anche se poi a dire il vero monica s’è recentemente riavvicinata al suo paese natio, come ha scritto nella sua recente biografia.
buon tennis 🙂
@Marco Mazzoni. Articolo interessante e ben documentato. Proprio per questo stona quell’associare approssimativamente Monica Seles alla attuale Serbia.
Come noto, la campionessa era di etnia orgogliosamente ungherese, nata nella provincia della Vojvodina, e di nazionalità della ex-Jugoslavia. Nazionalità rinnegata, per prendere quella statunitense. Dopo essere stata avviata al tennis grazie a suo papà, prese qualche lezione dalla mitica Jelena Gencic, ed emigrò con tutta la famiglia a 12 anni in Florida sotto l’ala protettiva di Nick Bollettieri. Un po’ poco per metterle addosso la bandierina serba.
Come sempre un ottimo articolo sig.Mazzoni!
Tennis a 360 gradi con risvolti umani e piccole storie emozionanti!
Bravissimo!
Come sempre un ottimo articolo sig.Mazzoni!
Tennis a 360 gradi con risvolti umani e piccole storie emozionanti!
Bravissimo!
Molto interessante il parallelo tra Djokovic e la nazione serba. Grazie Marco.
Grazie per l’articolo. Tifo Rafa, ma rispetto i serbi. Sono stato a Loznica (Serbia) 2 volte e devo dire che è un ottima esperienza e lì è veramente più di uno sport il tennis!!!
Complimenti, Marco, articolo basato veramente su ottime fondamenta. Sono stato a Belgrado la settimana scorsa e posso confermare che la sera in molti locali facevano vedere anche una partita come quella tra l’ottimo Wawrinka e il più modesto Ferrer (a Milano è difficile a vedere la finale di Wimbledon in un locale pubblico). In effetti, ho visto giocare un sacco di gente (anche meno giovane) questo sport. E’impressionante vedere che impatto può avere un singolo campione su un paese come la Serbia!
Grande articolo, questo è giornalismo, bravo.
Sarà difficile però per la Serbia avere un altro Djokovic a breve, ci sono altri junior più forti dei serbi, almeno sembra, ma forse crescendo chissà.