
Il destino singolare di Ashleigh Barty: quando lasciare è vincere


Tre anni fa, il 23 marzo 2022, il mondo del tennis si svegliava con una notizia sconvolgente: Ashleigh Barty, numero 1 del mondo e fresca vincitrice degli Australian Open, annunciava il suo ritiro dal tennis professionistico all’età di appena 25 anni.
Una decisione che lasciò attoniti tifosi, colleghi e addetti ai lavori, ma che rappresentava il culmine di un percorso personale molto più profondo e complesso di quanto potesse apparire dall’esterno. La carriera di Barty, come ora possiamo comprendere leggendo la sua autobiografia “My Dream Time”, è stata caratterizzata da un rapporto conflittuale con il tennis e la fama che ne derivava.
Un cammino segnato da dubbi e pause
Il percorso di Barty nel tennis è stato costellato da continui stop e ripartenze. La sua prima crisi avvenne già a 13 anni, quando tornò traumatizzata dal suo primo viaggio in Europa. “Quella fu la prima volta che pensai che il tennis non fosse per me”, ricorda l’australiana. Gli aeroporti, gli hotel silenziosi, il cibo straniero e le videochiamate con la famiglia rappresentavano un tributo troppo alto da pagare per una ragazzina così giovane.
Nel 2013, nonostante i progressi nel doppio con Casey Dellacqua, con cui raggiunse tre finali Slam, la sedicenne Barty non riusciva più a godersi il tennis. Le aspettative eccessive (“Mi avevano detto che ero un prodigio, che sarei stata numero 1”), i complessi fisici e il confronto con le altre giocatrici la portarono a una crisi profonda: “Mi preoccupava che gli altri mi vedessero diversa, quella sensazione era terrificante”.
La prima vera pausa durò solo 15 giorni nel 2011, ma fu nel 2014, appena diciottenne, che Barty decise di abbandonare definitivamente il tennis per dedicarsi al cricket. “Stavo piangendo nel vestiario, pensando a ciò che mi stavo perdendo a casa. Fino a quando un giorno ne ebbi abbastanza”, confessa nelle sue memorie.
La rinascita e il cerchio che si chiude
Fu una telefonata della sua amica Casey Dellacqua, il 15 gennaio 2016, a riaccendere la scintilla. Durante un semplice allenamento, Barty riscoprì la gioia di giocare: “Di colpo lo sentii: mi mancava questo. Avevo dimenticato quanto il gioco potesse farmi sorridere.” Il ritorno nel circuito, questa volta con un approccio diverso – “Fallo a modo tuo” le consigliarono i familiari – produsse rapidamente risultati straordinari.
Nel 2019 arrivò la consacrazione con la vittoria al Roland Garros, seguita dall’ascesa al numero 1 del mondo. Eppure, paradossalmente, proprio nel momento del massimo successo, Barty si ritrovò a pensare al ritiro. “Ora posso ritirarmi?” chiese al suo allenatore Craig Tyzzer appena cinque minuti dopo aver vinto il suo primo Slam.
La pandemia del 2020 le offrì una pausa provvidenziale dalla pressione crescente della fama. “Vado alla mia caffetteria preferita e mi fermano sei volte in due minuti… Gli estranei sanno i nomi dei miei genitori, delle mie sorelle e dei miei cani. È spaventoso”, confessava l’australiana, sopraffatta dal peso della celebrità.
Al ritorno, Barty conquistò Wimbledon nel 2021, ma già durante la preparazione 2022 confessò al suo team: “Credo che questo sarà il mio ultimo anno.” Il desiderio di completare il cerchio vincendo l’Australian Open, l’unico Slam che le mancava in casa, divenne l’ultimo obiettivo, spronata dal suo hitting partner Ben Mathias: “Vai a vincerlo. E poi ritirati”.
La libertà della scelta finale
Quando quel traguardo fu raggiunto, senza perdere nemmeno un set lungo tutto il torneo, Barty sentì che era davvero arrivato il momento di chiudere. “Sentii molto sollievo, non per aver vinto il torneo né per l’idea che quello fosse stato il finale della mia carriera. Sentii sollievo per il peso che mi ero tolta di dosso, per aver giocato l’Australian Open secondo le mie condizioni.”
La guerra tra Russia e Ucraina le impedì di disputare l’ultimo match previsto in Fed Cup ad aprile, accelerando così la fine della sua carriera. Con un gesto simbolico e definitivo, Barty smontò tutte le sue racchette togliendole le corde, salvandone solo una: quella con cui aveva vinto l’Australian Open.
“Mi piace che le cose abbiano una fine. Mi piace un taglio netto, una lista completa, una casella marcata, una porta chiusa”, spiega Barty, che ha preferito ritirarsi quando tutti si chiedevano “perché” e non “quando”.
Oggi, a tre anni dal suo addio, la storia di Ashleigh Barty ci offre una lezione potente: il successo non si misura solo in titoli o denaro, ma nella capacità di essere fedeli a se stessi anche quando significa andare controcorrente. In un mondo ossessionato dal raggiungimento e dal mantenimento dei vertici, Barty ci ricorda che a volte la vera vittoria sta nel riconoscere quando è il momento di voltare pagina.
Francesco Paolo Villarico
TAG: Ashleigh Barty
La baty ha vinto 3 Slam, quindi era una campionessa prima dell’arrivo di Swiatek e sabalenka.
É la differenza tra chi ama vincere e chi ama solo giocare.
Ognuno sublima le sue difficoltà per tenere il livello assoluto che é richiesto a modo suo…chi se ne nutre come Nole&Co, chi si ritira come Ash, chi sbrocca come Moutet e la Fogna, chi si autogiustifica impegnandosi mai al 100% come Nick, Luca ed altri…
Prova a rileggere l’articolo, magari più lentamente.
Tanto di cappello e massimo rispetto per la sua scelta, ma non fate leggere questo articolo a Sinner…
Beh mi pare una troppo ossessionata dalla sua provenienza per la quale da suddita della Corona Inglese è importante il Cricket! Forse a modo suo anche Kyrgios amante soprattutto del Basket ha lo stesso problema da Australiano spiantato quasi ovunque altrove (soprattutto su terra rossa) mentre De Minaur ha basi Spagnole che lo fanno adattare meglio. Certo la Barty ha vinto mentre il “Greco” molto meno!
Talento puro.
Mi sembra un po’ confusa la ragazza
È una grande.
Ha fatto sempre quello che voleva. E senza farsi influenzare da fattori esterni è rimasta coerente con se stessa. Per lei il tennis era uno sport e non una professione.
Comunque manca enormemente il suo talento.
In poche stagioni si è messa in saccoccia svariati milioni ed ha vinto più lei che altre migliaia di tenniste che hanno giocato per anni ed anni….
Ha capito che la vita va goduta da giovani quando si è nel pieno delle forze fisiche e mentali, anche perchè del futuro nessuno sa cosa potrebbe riservarci.
Poi uno vede Nadal, con centinaia e centinaia di milioni fare quell’esibizione indegna in Arabia per raccattare gli ultimi dollaroni, distrutto nel fisico, ombra di se stesso, e oggetto di imbarazzo pure per Alcaraz e Djokovic che sono dovuti sottostare a quel teatrino osceno. E li si capisce come all’avidità non cè fine.
Purtroppo mi sembra che pure Djokovic stia facendo ora lo stesso percorso tristissimo e martoriato del majorkino
Mi ero innamorato del suo tennis.
Fu una pugnalata al cuore quella notizia.
Ho sempre guardato molto meno il tennis femminile rispetto a quello maschile, ma le sue partite, lavoro e tempo permettendo le guardavo tutte.
Un tennis fenomenale in varietà di colpi, tattica e intelligenza.
La mia preferita.
Rimasi con la speranza che dopo 1 o 2 anni riprendesse…
Niente, ho capito che ha dato una svolta alla sua vita.
Fa niente. Le auguro il meglio del meglio, qualsiasi cosa deciderà di fare.
“Tanto normale non era” significava che Ashley è stata eccezionale…
Una ragazza padrona di se stessa
Veramente ci manca, non ci siamo
dimenticati, ma la sua felicità prima di tutto il resto!
Complimenti per aver avuto il coraggio di andare via nel periodo più vincente della su vita tennistica.
Manca terribilmente un talento come il suo,al tennis in rosa.
Ragazza intelligente e soprattutto bella
Campionessa ma tanto… non era …