Agatha Christie e il tennis
Un treno a vapore, una villa vittoriana, una bellissima autobiografia ed un giallo: i sorprendenti rapporti della regina del mistero con lo sport della racchetta
Le cabine bianche con le porte colorate mi sfilano davanti, allineate lungo i binari, in un quadretto fin de siècle. Più in là la spiaggia, dove i versi striduli dei gabbiani si confondono con le voci concitate di decine di bambini che agitano le mani sorridenti, in attesa dell’immancabile risposta da parte dei passeggeri del treno. Più in là ancora, fra la rena umida, le sedie a sdraio con i teli a righe bianche e blu mossi all’unisono dal vento, il cielo plumbeo e il mare grigio e mestamente chic della English Riviera. È una delle più rinomate zone di villeggiatura dell’Inghilterra del sud, nella contea di Davon, ed è anche una zona ricca di echi letterari: la brughiera del Mastino dei Baskerville, una delle mitiche avventure di Sherlock Holmes, nato dalla geniale penna di Arthur Conan Doyle; il castello di Tintagel, nella vicina e stupenda Cornovaglia, tradizionalmente associato alle leggende di re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda; e la cittadina di Torquay che, il 15 settembre del 1890, vide nascere la regina del giallo, Agatha Mary Clarissa Miller, poi conosciuta mondialmente come Agatha Christie.
Il treno sul quale mi trovo è lo Steam Train, il treno a vapore, perfettamente conservato e funzionante, che porta dalla stazione di Paignton a Greenway House, la villa vittoriana acquistata nel 1938 come residenza estiva dalla scrittrice e dal suo secondo marito, per poi essere donata dagli eredi al National Trust e trasformata in un museo. La locomotiva che sbuffa ritmicamente, gli interni dei vagoni in legno e velluto, il capotreno in costume d’epoca… tutto parla di un tempo che fu e, sarà la suggestione letteraria, ma mi sembra davvero di viaggiare su un piccolo Orient Express e di dover incrociare nel corridoio da un momento all’altro Hercule Poirot o Miss Marple, o magari fare conoscenza nella mia cabina con un un’irresistibile femme fatale, una fragile vedova, un loquace archeologo, un sinistro commesso viaggiatore o un generale in pensione dotato di monocolo. La suggestione letteraria continua anche dopo l’arrivo alla minuscola stazione di Greenway Halt, da cui si imbocca un sentiero che attraversa un bosco (per sua natura misterioso), che porta fino a un prato che offre dall’alto un’immagine quasi pittorica del fiume Dart, sulla cui sponda si adagia Greenway House.
La villa, in stile vittoriano, è elegante e raffinata, semplice ed imponente allo stesso tempo e fu tra l’altro lo scenario reale nel quale si girò Deadmen’s Folly, tradotto in italiano La signora del delitto, l’ultimo episodio della serie Tv con David Suchet nei panni di Poirot. Il suo interno contiene autentici tesori per gli ammiratori della scrittrice britannica: il pianoforte con gli spartiti originali (che testimonia i suoi primi passi come musicista e cantante), la biblioteca, lo studio e la macchina da scrivere dai cui tasti sono usciti molti dei suoi libri, la stanza da letto con la cabina armadio ancora colma di abiti, decine di manoscritti, centinaia di oggetti da collezione, foto familiari, una vetrinetta con veleni vari che lei, che per un periodo aveva svolto l’attività di infermiera, conosceva bene e spesso utilizzò come “armi omicide” nelle sue storie.
Dopo la visita, passeggio un po’ nel giardino botanico, quando, a un tratto, intravvedo nel verde una macchia rossastra che, avvicinandomi, acquista una forma ben riconoscibile: un campo da tennis! Non è in buonissime condizioni e fra le fessure del cemento spuntano fili d’erba, che mi piace interpretare come una pallida testimonianza della superficie originale. Non c’è nessuno nei dintorni e mi avvicino al cancello che, pur con qualche cigolìo, si apre. Entro furtivamente e grido a me stesso: “Sei sul campo da tennis della casa di Agatha Christie!!!”. Giuro che il cuore mi batte forte, comincio a vagare, a fare scatti e autoscatti, in cui appaio felicemente inebetito come un bambino il giorno di Natale. Mi metto nella posizione del servizio, simulo qualche colpo a vuoto, immaginando di essere circondato da astanti biancovestiti che sorbiscono una tazza di tè con pasticcini durante un party. Due turiste mi vedono e sorridono, ed io insieme a loro. “Don’t worry, I’m not crazy! –gli dico- I’m only crazy about tennis!”, e tutti e tre scoppiamo in una sonora risata. Quando rientro in me, sono immediatamente incuriosito e vado a caccia di informazioni. Le prime le trovo sulla guida che ho appena acquistato, dove si dice che il campo fu costruito nel 1880 (al posto di una serra) dagli anteriori proprietari e che era naturalmente in erba, mentre l’attuale superficie rappresenta uno dei primi esempi al mondo di tennis quick. Voglio però ridare vita a questo campo semi abbandonato, e dare risposta alle domande che inevitabilmente mi sono frullate per la testa: che rapporto c’era fra Agatha Christie e il tennis? Che spazio aveva nella sua vita? Lo amava o le era indifferente? E soprattutto… ci giocava?
Molte risposte a queste domande le ho trovate nella sua bellissima autobiografia, pubblicata postuma nel 1976 ed uscita in italiano con il titolo La mia vita. Già i primi ricordi sono legati a un campo da tennis, il quale però non rappresentava nulla di seducente per la piccola Agatha, anzi semmai il simbolo del mondo prosaico degli adulti, in contrasto con la fantasia infantile: “La terza parte del giardino– dice l’autrice descrivendo la sua casa natale di Torquay – era costituita dal bosco che, nella mia fantasia, aveva assunto, e tuttora conserva, dimensioni degne di una foresta. Era formato soprattutto da frassini ed era percorso da un viottolo serpeggiante. Il bosco aveva tutti gli attributi che vengono di solito connessi a simili formazioni arboree: mistero, terrore, piacere segreto, inaccessibilità e lontananza… Era attraversato da un sentiero che portava al campo da tennis e a quelli di croquet, ricavati in un alto terrapieno posto di fronte alla finestra della sala da pranzo. Una volta arrivati lì, l’incanto finiva. Si ripiombava nella realtà quotidiana, popolata di signore che, sorreggendosi la gonna con una mano, con l’altra giocavano a croquet o a tennis, con il capo protetto da cappelli di paglia da barcaiolo”.
Il tennis è poi ben presente nel suo percorso di formazione verso la vita adulta, in cui tra l’altro il lettore potrà essere deluso dal fatto che la grande giallista sia arrivata alla scrittura un po’ per caso e non si veda in lei una precoce vocazione letteraria: “Mi piaceva giocare a tennis e a croquet, eppure non giocavo bene. Certo, sarebbe più semplice poter dire che ho sempre aspirato a scrivere e che mi ero fermamente ripromessa di raggiungere il successo, ma, purtroppo, l’idea non mi aveva nemmeno sfiorata”. In ogni caso il tennis sarà uno sport che, insieme ad altri, praticherà con una certa assiduità, anche perché parte integrante della vita sociale dell’epoca: “Le ragazze di solito non avevano più di tre vestiti da sera, che, nelle intenzioni, dovevano durare qualche anno e, a ogni stagione, i cappelli venivano ridipinti con una bottiglietta di vernice speciale da uno scellino. I ricevimenti, le feste in giardino, i tennis party li raggiungevamo a piedi, solo per i trattenimenti in campagna noleggiavamo una carrozza”.
In uno dei suoi viaggi in giro per il mondo, che poi diventeranno più frequenti dopo il secondo matrimonio con l’archeologo Max Mallowan, la scrittrice ci parla ancora della presenza del tennis più che come attività sportiva in sè, come intrattenimento sociale. Prima di raggiungere Bagdad, una conoscente tranquillizza una preoccupata Agatha dicendole: “Vedrà che, appena arrivata, cambierà idea. La vita è molto piacevole, lì. Si fa parecchio tennis e ci sono un sacco di ricevimenti. Sono sicura che si divertirà. Dicono tutti peste e corna di Bagdad, ma io non sono affatto d’accordo”, impressioni poi confermate dalla sua esperienza diretta: “Giocavo a tennis, andavo ai concorsi ippici, venivo accompagnata a visitare le bellezze locali e i negozi, col risultato che mi sembrava quasi di essere in Inghilterra. Certo, da un punto di vista geografico ero a Bagdad, ma il modo di vita era tipicamente inglese”.
Ma com’ era Agatha Christie come giocatrice? Non se la cavava malissimo a quanto pare, con il tallone d’Achille del rovescio, male comune a moltissimi giocatori amatoriali: “Al tiro con l’arco, al biliardo, al golf, al tennis, al croquet, sembrava che sarei riuscita benissimo, ma le promesse, con mia grande umiliazione, non venivano mai mantenute […] Al tennis ero arrivata ad avere un buon dritto, che non mancava di impressionare gli avversari, ma il rovescio era inesistente, ed è impossibile giocare a tennis solo di dritto”. La passione sfrenata per il golf del suo primo marito la obbligò poi a mettere un po’ da parte la racchetta, nonostante i suoi tentativi di convincerlo a praticare entrambi gli sport: “Gli proposi di alternare al golf il tennis perché avevamo parecchi amici con cui era stato solito giocarlo, a Londra. Reagì con orrore, sostenendo che ormai si era fatto la mano al golf e che il tennis gliel’avrebbe rovinata. Il golf era diventato per lui quasi una religione”.
Viene a questo punto spontaneo chiedersi che spazio ha il tennis nella sua opera letteraria, anche se è facile prevedere che apparirà, anche se indirettamente, negli “esterni”, perché parte appunto della vita sociale dell’epoca. Interessante in questo senso quanto ci dice a proposito dei “vantaggi” del teatro sul romanzo classico: “Lo spazio delimitato del palcoscenico costringe a semplificare le cose. Non è necessario seguire l’eroina su e giù per le scale o fin sul campo da tennis e di nuovo in casa, raccontando quello che ha pensato. In teatro basta occuparsi di quello che si vede, si sente o si può fare”.
I fan di Agatha Christie sanno bene che in uno dei suoi romanzi il tennis ha un maggiore protagonismo, tanto che in quasi tutte le edizioni e traduzioni appare in copertina una racchetta o un riferimento tennistico. Mi riferisco a Towards Zero, opera del 1944, tradotta in italiano con il titolo di Verso l’ora zero. Uno dei protagonisti è infatti un noto tennista, così descritto nella sua prima apparizione: “Nevile Strange stava scendendo le scale, vestito di bianco, con quattro racchette da tennis sotto il braccio. Se un uomo avesse dovuto essere scelto, fra altri, come il tipo dell’uomo fortunato e che non ha più niente da desiderare, qualsiasi giuria avrebbe potuto benissimo scegliere Nevile. Era noto al pubblico inglese, un tennista d’eccezione e un ottimo sportivo. Benché non fosse mai arrivato in finale a Wimbledon, aveva vinto parecchie gare ed era un atleta troppo versatile per poter essere un vero campione di tennis. Giocava benissimo a golf, era un magnifico nuotatore e aveva al suo attivo anche qualche impegnativa scalata sulle Alpi. Aveva trentatré anni e una salute perfetta, era bello, aveva denaro, una bellissima moglie sposata da poco…”. Insomma, un esempio perfetto di eleganza e leggerezza anglosassone, come dimostra il seguente dialogo fra due altri due personaggi dell’opera: “Ma sai, Kay, qual è la vera ragione per cui Nevile non ha mai avuto la classe di un vero campione? Sa perdere troppo bene […]. Non l’ho mai visto arrabbiarsi quando perde una partita. — È logico. Non ne vale la pena. E poi la gente educata non lo fa. — Lo fa, lo fa! L’abbiamo visto tutti. I divi del tennis che hanno crisi di nervi… ma Nevile no”: E ancora: “l’ho visto sui campi da tennis, in uno di quei tornei in cui i divi del tennis sono isterici e crollano come delle donnette, e, be’, non l’ho mai visto agitato”. Sono a questo punto obbligato ad infrangere il primo comandamento del Decalogo del lettore di gialli: MAI RIVELARE L’ASSASSINO. Lo devo fare, ma avviso chi non avesse ancora letto Verso l’ora zero e fosse interessato a farlo, affinché interrompa qua la lettura di questo articolo…
In sostanza scopriamo in seguito che il self-control e la sportività di Nevile Strage non sono solo il frutto della squisita educazione britannica. Nascondono anche uno squilibrio mentale e un piano diabolico di vendetta, smascherato dall’investigatore di turno, in questo caso il sovrintendente di Scoltand Yard Battle che, quando inizia a sospettare di Strange, dice: “Non vedo perché si debba escludere che un bravo tennista possa anche essere un assassino”. L’obiettivo della vendetta è la prima moglie Audrey, “colpevole” di averlo abbandonato, e a cui tende una complicatissima trappola che ha come obiettivo portarla dritta al patibolo. “Quando l’ho sposato, Nevile mi sembrava tanto normale e sano, sempre di buon umore, gentile…”, dice alla fine Audry al sovrintendente Battle, il quale risponde: “Recitava la parte del perfetto gentiluomo […]. Ecco perché anche quando perde una partita a tennis riesce a rimanere calmo. Per lui era più importante mantenere la parte che si era imposto nella vita che vincere”.
Il tennista dall’aplomb britannico è quindi in realtà un assassino freddo e spietato, ma… che arma ha usato per il delitto? Be’, una racchetta da tennis, anche se un po’ “taroccata”. Il responsabile diretto della morte dell’anziana Lady Camilla Tressilian è infatti il pomo d’ottone svitato da un parafuoco vittoriano, ma avvitato sul manico di una racchetta da tennis previamente segata in due, per poi essere riattaccata con un cerotto adesivo e buttata a casaccio in un ripostiglio pieno di racchette, per non destare sospetti. Ma la sorpresa più bella di Verso l’ora zero è scoprire il perché l’autopsia aveva indicato come autore dell’omicidio un mancino, mentre Nevile Strange era destro. È naturalmente il sovrintendente di Scotland Yard a svelare l’arcano, che farà sorridere gli appassionati, come ha fatto sorridere me: “Ha colpito Lady Tressilian con un rovescio” – dichiara Battle – “ecco perché il colpo sembrava sferrato da un mancino. Il rovescio di Nevile è sempre stato forte, lo sapete bene”. Un rovescio magistrale, proprio il colpo che l’Agatha Christie tennista non era mai riuscita ad imparare. E non ditemi che non è meraviglioso…
Paolo Silvestri
(Foto di Paolo Silvestri. Questo articolo è stato pubblicato su 0-15 Tennis Magazine)
TAG: Agatha Christie, Livetennis Magazine, Paolo Silvestri, storie di tennis
@ selandcn (#3723861)
Mi fai arrossire! Grazie!
@ selandcn (#3723861)
Mi fai arrossire! Grazie!
@ selandcn (#3723861)
Mi fai arrossire! Grazie!
. … Mazzoni! Tra l’altro mi pare conoscitore di racchette vintage, Prince in particolare.
Paolo Silvestri, con i suoi gustosi articoli di “cultura tennistica” è uno dei pochi autori che scrivono per LiveTennis a mettere d’accordo tutti i lettori: i commenti sono sempre positivi e concordi. E come potrebbe essere diverso, per chi ama il tennis in tutte le sue declinazioni?
Ok…in bacheca…, “i duralift sulle corde e la segatura in tasca alla Lendl ti sentivi un campione”…eh già,…e per la cedrata chi la offre?
@ Pier no guest (#3723484)
Ahahah! Affare fatto!
@ Don Budge fathers (#3722303)
Esempio di come si muove l’economia: articolo bello e stimolante che accende i ricordi. E quindi ieri ordino il libro Il giardino dei Finzi Contini (che metto in conto all’ottimo Paolo Silvestri) ed ora ho acquistato una Slazenger Challenger 0.1 nuova con garanzia (che spero di farmi autografare dal Barazzutti) e che sappi ti ho messo in conto.
Ma sono disponibile a fartela provare… E poi una cedrata Tassoni ovviamente.
Perchè era ed è uno sport elegante e dei “ricchi”. Non a caso quando dicevo alla mie amiche che andavo a tennis mi facevano segno come se fossi un fighetta coi soldi…Non sapendo che a volte andavo in un campo in cemento dentro un parco e avevo 28 palle che buttavo solo quando diventavano sassi 😆
Che bello,
Grazie Pier,anche per me è stata la prima racchetta seria…poi passai alla wilson kramer pro staff…quella di..vabbè lo sapete,…con maglietta sergio tacchini…con le maniche corte rosse e blu fondo bianco…
Mi piace ricordare l’antico maglificio maggia, rivoluzionario a quei tempi con il fucsia e il bluette come colori dominanti. Al circolo,di periferia,non volevano che lo indossassi.Poi gli dissi che sponsorizzava Gerulaitis e accettarono i colori sgargianti.Successivamente aggiunsero anche l’arancione
Vero. E pensa che fu la mia prima racchetta: avevo 9 anni e mio padre che aveva un laboratorio la accorció per renderla gestibile.Da bambini si giocava con delle clave,rovescio ad una mano faticosissimo, con palline buttate nel carrello del supermercato dai soci .Ci trovavi Pirelli, Dunlop, Bancroft,Tretorn spelacchiate e sgonfie(non le Tretorn ovviamente)… Ma quelle che rimbalzavano di più se le fregavano altri soci . Ma se avevi la fascetta di Borg (gli stava meglio che a Corrado), i duralift sulle corde e la segatura in tasca alla Lendl ti sentivi un campione.
E poi prenotavi il campo dell’osteria dove battevi il tuo coetaneo per poi venire sfidato da un tizio anonimo, mezzo ragioniere e mezzo ex calciatore, con la maglietta della salute sotto una polo della Lafont e che a suon di tagli, smorzate e pallonetti ti dava 61 60.Poi però… “Dai, ti offro una cedrata… Non ghiacciata però, fa male”.
@ Aio051174 (#3722434)
Grazie mille
@ Aio051174 (#3722434)
Grazie!
@ j (#3722378)
Grazie a te!
@ No Way (#3722036)
Complimenti.
Tutto questo cosa centra con il rock’n’roll? (cit) Centra eccome, mostra come il tennis sia radicato nella cultura anglosassone e lo fa amare ancora di più. Da ragazzo lessi quasi tutti i libri di Agatha Christie, ricordavo anche da sue biografie la passione per il tennis. Grazie Paolo, letto con piacere
Ah, l’Adriana Trentini…
Si ed anche la Slanzenger Challenge NO. 1…quella di Corrado …
@ Pier no guest (#3722121)
@ Thiago (#3722056)
Grazie!@ No Way (#3722036)
Grazie!
@ 18gabri (#3722160)
Grazie mille!
@ Thiago (#3722056)
Grazie!
Che bell’articolo, bravissimo!
Ricordo che lessi “Verso l’ora zero” da ragazzino e mi piacque molto
Ora si vive il tennis dei circoli, campi curati e semmai usurati da agonisti che li calpestano con veemenza ma un tempo c’erano i campi di qualche villa signorile, di qualche oratorio o collegio (spesso semplici righe tracciate sull’asfalto ed un’incerta rete barcollante) e pure dietro qualche osteria di paese, in terra rossa muschiata(perché vi cresceva il muschio) ed a fianco il campo da bocce e qui sì l’eleganza dei gesti bianchi cozzava con le espressioni di disapprovazione di chi sfiorava il boccino… Il firmamento intero veniva giù.
Altra epoca, quella delle palline bianche Pirelli, delle racchette che “corda rotta… Vabbè finisco poi la faccio cambiare” (La corda singola, non tutta l’incordatura ovviamente), delle Superga ai piedi e della sfida Wip Panatta vs Maxima (ma i più signori sfoggiavano Wilson Jack Kramer e Dunlop Maxply).
Comunque bello l’articolo si, mi ha ricordato il film tratto dal libro “il giardino dei Finzi Contini”, da riscoprire anch’esso.
Noi che quando colpiamo la rete diciamo:”Net!” Let repeat please..
Approvo… Complimenti!
Bel testo per scrittura ma soprattutto passione. Avanti anche con questi articoli!
Bel testo, che ho letto tutto di un fiato. Complimenti all’autore
che roba Match Point
Il tennis è spesso presente nei gialli,nei thriller.Anche Alfred Hichcoock e Woody Allen lo hanno utilizzato nei loro film.