Ciao, Jerome (di Marco Mazzoni)
Ci sono giornate in cui il sole sopra il Foro Italico è diverso. Non lo puoi spiegare, puoi solo viverlo. Ti avvolge, ti travolge. Ti lascia impresse nella memoria immagini molto nitide, anche se gli anni passano. Proprio come quel martedì di inizio maggio 1998, quando arrivammo al nostro grande torneo con il solito carico di entusiasmo. Il programma del giorno era fitto, come sempre. Su che campo andare? Impossibile una scelta definitiva, meglio vagare qua e là, spinti dalla curiosità e dell’istinto. Quel sole picchiava di brutto, e cosa di meglio di una sosta “attiva” sul vecchio campo 6, coronato da quegli alti (e benedetti…) pini, a donarci un minimo di ombra e tregua. Poi in campo c’era una partita tutt’altro che banale, appena iniziata. Jeff Tarango, incarnazione perfetta del giocatore “tignoso”, spigoloso, uno che anche se su terra era un po’ un pesce fuor d’acqua può tirar su giocate divertenti; opposto ad un francese per niente banale, Jerome Golmard. Transalpino, già questo marchio di qualità tecnica e diversità. Già… La scuola dei nostri cugini – mediamente invidiatissima… – è una delle poche che riusciva ad assecondare le diversità, a non accodarsi alle nuove mode di un tennis via via sempre più utilitaristico e standardizzato sull’efficienza,e quindi banalizzato. No. In Francia tanti tecnici preparati sapevano coltivare la differenza, creando giocatori assai diversi uno dall’altro, con difetti ma anche punti forti notevoli. Tanto che scoprire qualche nuovo francese è sempre stata una delle mie attività predilette, perché le soddisfazioni hanno ampiamente superato le delusioni. Fu così anche quel giorno a Roma, al Foro Italico, ammirando Jerome. Mancino, alto ma con un portamento particolare, il suo incedere in campo sembrava più un ballo scomposto che un esercizio atletico. Gambe fin troppo larghe nella ricerca della palla, “ma che passi fa…”, eppur ci arriva… e ci arriva pure con grande timing. Gambe non forti, che poi lo penalizzeranno fin troppo con infortuni frequenti e, ahimé, pure troppo altro… Si sbaglia fin troppoin campo. Sia Jeff che Jerome cercano la giocata, senza troppa tattica, senza sfruttare le peculiarità del “rosso”. Però vengo rapito da come la racchetta del francese danza nell’aria nell’apertura e poi libra all’impatto verso la palla. Una meccanica molto personale, non ortodossa ma per questo affascinante. Incredibile come col rovescio quasi non aprisse, partendo con la racchetta troppo bassa e poi via un mezzo saltello in avanti, a trovare la pallina con una velocità e precisione misteriose, sempre in avanzamento, quasi sempre fuori equilibrio ma con grande controllo. Micidiale quando poteva impattare con i piedi appena in campo, facendo un passo avanti e rubando tutto il tempo al rivale, spesso immobile sulle sue traiettorie. Timing notevole, tempo di gioco e cambi di ritmo. L’essenza della qualità tennistica. E che dire allora del suo “drittaccio”, una frustata tirata spesso a gambe divaricate, braccio disteso e grande azione del polso, a mascherare la traiettoria. Saltelli più che passi, arrembaggi più che schemi di gioco, spesso finalizzati da tocchi sotto rete di rara delicatezza e precisione. Una bellezza diversa, non ortodossa ma molto intrigante.
Non ricordo nei dettagli l’andamento del match; ricordo che Tarango ringhiava, ci provava, ma i colpi di Golmard erano superiori, più precisi e interessanti. Non sembrava nemmeno in grande forma fisica, spesso in ritardo nei recuperi, e falloso col servizio, con quel movimento che un po’ ricordava lo slancio di Johnny Mac. E, chissà, anche qualche colpo dell’immenso talento americano (con le debite proporzioni, ovvio). Vinse Golmard, e via su altri campi, per altre sfide. Ma il ricordo del francese mi restò dentro, e ancora c’è. Amaro tirarlo fuori dall’album dei ricordi proprio oggi, che Jerome ci ha lasciati.
La “maledetta” SLA l’ha colpito, duramente. E non gli ha lasciato scampo, portandocelo via troppo, troppo giovane. Un decorso rapido, una malattia ancora incurabile. Prima gli ha precluso l’uso delle gambe, poi troppo in fretta l’ha stroncato. Golmard rese pubblica la sua storia, la sua malattia. Ha commosso il mondo del tennis e non solo, cercando aiuto, gridando il suo dramma senza rassegnazione, con grande dignità. Ha cercato fino all’ultimo di lottare, provando anche delle cure alternative, purtroppo inefficaci.
Il ricordo di Golmard resterà legato soprattutto ad una splendida edizione di Monte Carlo, dove nel ’99 brillò come mai, schiantando Moya (campione di RG in carica) in rimonta e divertendo come pochi. Vinse due ATP (Dubai 1999 e Chennai 2000), in una carriera con troppi ostacoli ed infortuni. Poche volte è riuscito a giocare con continuità, e produrre quel suo tennis così personale. A leggere i numeri resterà una meteora nel mondo del tennis, un mondo in cui contano successi, vittorie, record. Un metro di giudizio ingiusto, perché chi ha avuto la fortuna di apprezzare il suo gioco, la sua correttezza in campo e la sua diversità, non lo dimenticherà mai.
Ciao Jerome
Marco Mazzoni
@marcomazz
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6 commenti
Mi spiace, è particolarmente toccante quando succede,soprattutto ad una persona ancora così giovane
Bravo Marco. Un bell’omaggio ad un tennista di retroguardia quelli di cui si parla poco, ma che muovono il Barnum come gli altri.
Repose en paix,cher garçon…et que la terre sera doux a toi…
Proprio un bel racconto Sig. Mazzoni.Riposa in pace Golmard io ricordo proprio il match contro Moya.
Il secondo decesso per sla nel giro di dieci giorni,come nel calcio bisogna approfondire le cause
Che bel racconto Marco Mazzoni.
Riposa in pace Jerome e che il Signore dia forza ai tuoi famigliari.