Diego Nargiso a tutto campo: “Mager, Caruso, Quinzi, Donati, Napolitano, sono tutti ragazzi che hanno doti molto interessanti, ma è ancora presto per capire dove potranno arrivare”
La squadra di Davis italiana degli anni ’90 al completo è presente in questi giorni sulle tribune del Ct Pontedera in occasione del Torneo Future ITF “Città di Pontedera” – Trofeo Devitalia (15.000 $, www.itfpontedera.it). Gli appassionati avranno avuto un bel colpo al cuore a rivedere tutti insieme Renzo Furlan, Diego Nargiso e Davide Sanguinetti, che adesso si trovano agli internazionali pisani nelle vesti di coach (rispettivamente di Pietro Licciardi, di Gianluca Mager e Andrea Basso e del cinese Di Wu). Abbiamo parlato con quello dei tre che ha avuto il best ranking peggiore in singolare, ma è stato un grandissimo specialista del doppio ed ha fondato le sue imprese sulla Coppa Davis, dove ha un bilancio di diciotto vittorie e quattordici sconfitte. Anche per questo è stato il più amato dai tifosi azzurri della racchetta: la parola a Diego Nargiso…
Quali sono le impressioni della tua prima visita a Pontedera?
Molto positive, il torneo è organizzato davvero bene, si vede che c’è cura nell’accoglienza dei giocatori e del pubblico. E’ uno dei Future più belli che abbia visto in Italia. Unica pecca la presenza di soli due campi dedicati al torneo: con un numero maggiore di campi sarebbe possibile puntare a un evento di caratura superiore.
Sei qui in veste di coach di Andrea Basso e Gianluca Mager: parlaci un po’ di loro…
Andrea è reduce da un anno molto travagliato, in cui ha subito un brutto infortunio ed è stato completamente fermo per quattro mesi. Ha bisogno di tempo per ritornare in forma, come dimostra anche la partita persa ieri, ma sono molto fiducioso perché ritengo che abbia mezzi importanti, soprattutto sui terreni veloci. Mager è stata una sorpresa per tutti, anche per me: ha bruciato le tappe così in fretta al punto da diventare uno dei migliori elementi della sua età.
Questo ci permette di vivere serenamente la programmazione, senza farci obiettivi di classifica: lavoriamo per migliorare e per avere una maggior attitudine al professionismo.
Hai accennato appunto alla nidiata azzurra dal 1994 al 1996, piena di tennisti di grande prospettiva: chi secondo te farà più strada?
E’ difficilissimo dirlo adesso, perché da statistiche ATP i tennisti tra i primi 100 al mondo hanno un’età media di 27 anni. Gianluca, Caruso, Quinzi, Donati, Napolitano, sono tutti ragazzi che hanno doti molto interessanti, ma è ancora presto per capire dove potranno arrivare. Tra tutti mi ha impressionato soprattutto Matteo Donati: vedendolo all’opera a inizio anno ho avuto la certezza che avrebbe raggiunto la top 100 a breve, e i risultati mi stanno, e gli stanno dando ragione…
Ti sembra questo un cambio di tendenza rispetto al passato, quando i giocatori italiani faticavano tantissimo nel passaggio dall’attività juniores al professionismo?
Qualcosa è sicuramente cambiato. Molto dipende dalla politica della Federazione, che prima curava i ragazzi under 18 e poi li lasciava al loro destino, mentre adesso continua a seguirli attentamente almeno fino ai 23 anni. Questo è fondamentale perché è proprio in questa età delicatissima che i ragazzi hanno bisogno di una guida e non sono in grado di gestire da soli un cambiamento così grande
E il tuo passaggio da tennista professionista a coach è stato altrettanto travagliato?
Si, molto. Quando ho smesso di giocare nel 2001 ho seguito per alcuni anni Filippo Volandri e Flavia Pennetta, ma più come figura manageriale di supporto ai loro coach. Poi dal 2006 mi sono preso una pausa, perché sono nati i miei tre figli e volevo stare dietro alla famiglia a tempo pieno. Adesso mi è tornata di nuovo la voglia di stare sul campo, a lottare e a faticare, devo dire con grande soddisfazione. Aver giocato ad alti livelli di sicuro aiuta ad allenare ma non basta. Il coach deve scendere dalla mentalità del giocatore, capire che non è più lui il protagonista e mettersi in disparte, a disposizione con la sua esperienza a seconda delle caratteristiche di chi segue, ma sempre senza mai offuscarlo.
Ti manca il campo e le imprese speciali, come quelle in Coppa Davis che ti hanno reso famoso…?
Ho molti ricordi, e la Coppa Davis è ai primi posti. Ho rinunciato spesso ai tornei, e ai conseguenti guadagni di punti e economici, per preparare al meglio le partite con la Nazionale, ma l’ho fatto senza pensarci due volte. Per me giocare per la propria Nazione è la cosa più bella che ci sia… Ricordi e aneddoti legati alla Davis ce ne sono migliaia. In questo momento mi viene in mente un “non-ricordo”, ovvero l’unica volta in cui non sono stato convocato. Nel 1995 infatti non venni mai chiamato a causa degli screzi che c’erano stati l’anno precedente: proprio quell’anno l’Italia giocò contro la Repubblica Ceca nella mia Napoli, mancare fu dolorosissimo e devo dire che è stato l’unica volta in cui non ce l’ho fatta a seguire, neanche dalla televisione, la mia squadra.
TAG: Diego Nargiso, Italiani, Nargiso
4 commenti
Caruso è del 92
Nargiso in Davis determinante a volte in doppio ,ci fece salvare come singolarista in Danimarca ,disastroso contro Skoff in Austria 60 60 62 il primo singolare del venerdi
Sì, ma anche Mager deve giocare più sul duro, assolutamente…
io ero più per furlan….un mito!