Roland Garros, lo spettacolo della “terra” (di Marco Mazzoni)
“Parigi è ‘la città dell’amore’, ma io preferisco pensarla come ‘la città dell’ispirazione’. È il luogo che visito ogni volta che la mia creatività ha bisogno di un nuovo impulso o anche solo quando ho bisogno di ricordarmi quanto è bello il mondo in cui viviamo”. Parole e musica della scrittrice Kristin Harmel, perfette per introdurre Parigi, quel suo fascino vitale e senza tempo che ti avvolge ogni volta che ci metti piede. Camminare per le sue strade, anche quelle meno battute dai milioni di turisti che ogni anno la rendono prima destinazione al mondo, è qualcosa difficile da spiegare a parole. Unico. Come unico è il fascino del suo grande torneo, il Roland Garros. Chissà cosa penserebbe oggi di tutto l’ambaradan che porta il suo nome proprio il “signor Roland Garros”, impavido aviatore caduto il 5 ottobre 1918 nei pressi delle Ardenne, e diventato suo malgrado “un’icona tennistica” grazie allo stadio a lui intitolato…
Ogni Slam ha un fascino tutto suo. Il colore e calore degli Australian Open, la monumentale storia Wimbledon, il chiasso ed eccessi yankee di Flushing Meadow. Cosa ha Roland Garros di diverso? Tutto. La città che lo ospita in primis, così bella e amata da rendere inutile il parlarne dal punto di vista turistico. Il torneo ha una storia di poco più giovane (prima edizione 1891) e non meno importante di quella scritta sui sacri court di Church Road. Gli Open di Francia sono ospitati in un impianto raccolto ma ancora funzionale, affascinante, con alcune chicche e qualche nodo ancora irrisolto per il suo ampliamento.
Si gioca sulla terra battuta, superficie amata e odiata, ma che noi italiani sentiamo totalmente nostra, e non solo perché qua abbiamo vinto con Pietrangeli, Panatta e Schiavone gli unici Slam in singolare. Una superficie che pian piano tutti stanno rivalutando, dopo anni in cui era considerata un orrido pantano capace di produrre solo noiose maratone. Il tennis è molto cambiato negli ultimi 10 anni. Per paura di velocità eccessive create dai bombardieri dei ’90s (non capendo che si trattava solo di una generazione, che da lì a poco sarebbe finita…) si è rallentato tutto, fin troppo; tanto da creare una mono-superficie per quasi tutto l’anno, dove la palla rimbalza alta, lenta, ideale per picchiare a tutta di ritmo, così da standardizzare il gioco ed agonizzare anche le emozioni di match troppo spesso uno fotocopia sbiadita dell’altro. L’ancora di salvataggio per chi cerca un tennis più vario? Oltre alla quindicina di Wimbledon, ecco che arriva in soccorso la nostra cara, “sporca”, amatissima terra rossa. Che al contrario dei campi in duro è stata invece velocizzata e, paradosso dei paradossi, dove prima regnavano i “pallettari” oggi si può osare verso la rete, toccare la palla, sfruttare rotazioni diverse. Inventare tennis quando il braccio lo permette. Persino attaccare con cambi ritmo, back letali e smorzate a go go. L’ultimissimo torneo di Roma è qua a testimoniarcelo, come Madrid pure. E’ la superficie meno traumatica per il fisico, quella ideale per imparare a giocare tutti i colpi, un tennis ricco in tutte le sue mille sfaccettature; la superficie che regala possibilità ai grandi pedalatori ma anche a chi ama variare il gioco.
Molti storceranno il naso dicendo “eh, ma poi sul rosso alla fine vince sempre Lui…”. Attenzione ai naviganti: non fatevi traviare dal finale dei Top tornei su terra, da Parigi in giù passando per i Master 1000. Vero che con un dominatore dispotico come Nadal anche nel 2013 sarà difficile scappare dall’ennesimo trionfo parigino del “toro”, magari dopo aver abbattuto Djokovic in semifinale (unico reale competitor, a meno di clamorose e difficili sorprese). Ma pensiamoci un attimo: questo “problema” affligge tutto il tennis di vertice e tutti i grandi tornei, anche sul duro, che sono vinti sempre dai soliti noti da troppi anni… Un torneo come il Roland Garros va valutato non solo per chi alza la coppa, ma per tutta la sua durata. E allora pochi Slam sono così interessanti come Parigi, che ad ogni edizione propone mille match e altrettante storie, fin dai primi turni. A chi davvero ama il tennis interessa sì il vincitore finale, ma interessa ancor più vivere emozioni forti per tutta la durata dell’evento. Da questa prospettiva, a Parigi non si sbaglia mai.
Il torneo femminile è dal ritiro della Henin senza una padrona, visto che le top non amano particolarmente giocare sul rosso (Serena non vince dal 2002, unico suo trionfo, Sharapova ha appena vinto del 2012 per la prima volta), aprendo così spazio a vere sorprese, come quella per noi straordinariamente dolce della Schiavone 2010. Quello maschile è dominato da anni da Nadal.
Vedendolo giocare sul Chatrier si avverte una presenza fisica, un’aura di imbattibilità che arriva su in alto fino alla tribuna. Eppure più volte ha iniziato il torneo così così, tanto che durante i suoi primi match si ciarlava coi colleghi spagnoli, “la sua palla non pare così lunga e consistente come l’anno scorso”, “pero està ganando bien…” ribatte sicuro Javier, che guarda lontano. Guarda alla domenica decisiva, in cui Rafa sarà lì, per l’ennesima volta a lottare per il suo torneo. Quello dove Rafa appare quasi leggero, se possibile ancor più scultoreo nella sua virile forza, producendo in campo una danza mai banale, una morsa tennistica mostruosa che stritola ogni velleità dei rivali. Il tutto con la sagacia tattica di chi si sente superiore, con un margine di sicurezza così ampio da arrivare alla noia in certi momenti; quasi che alcuni break subiti avessero l’effetto di una salutare sveglia mattutina.
Nadal a parte, Roland Garros ha spesso saputo regalare storie fantastiche, protagonisti talvolta bizzarri che hanno sfruttato al meglio le condizioni di gioco particolari della terra battuta, issandosi sino alla finale. Per tutti l’olandese Verkerk, che nel 2003 fece impazzire il pubblico con mazzate improvvise a tutto campo, arrivando in finale battuto dal solido Ferrero, e poi scomparire tra eccessi alcolici e problemi fisici.
Sul centrale di Parigi sono nati veri e propri miti, come Kuerten. Uscì dal nulla nel 1997, armato di completino giallo blu e di un rovescio eccezionale, con cui randellò a destra e a manca, mettendo in fila Muster, Kafelnikov e Bruguera, e diventando per alcuni anni il miglior giocatore su terra. Era amatissimo dal pubblico parigino, che adorava la sua solarità, il suo gioco spregiudicato fatto di accelerazioni improvvise sulle righe ed un rovescio ad una mano pazzesco; come un ballerino saltellava vigorosamente e slanciava colpi fulminanti, sommergendo di winners i rivali, il tutto con un sorriso così contagioso che era impossibile non volergli bene. Con quel rovescio e quel servizio, sarebbe stato una bella gatta da pelare anche per Nadal… E che dire allora di Michael Chang? L’edizione 1989 è passata assolutamente alla storia, per il suo successo e quello della Sanchez, al loro primo Slam, con il cino-americano che scrisse una delle pagine immortali del nostro sport. Chi non ricorda la banana mangiata in campo, l’epica vittoria contro Lendl con il piccoletto in preda ai crampi che fece di tutto per provocare lo Zar, battendo da sotto e mettendosi a rispondere ad un metro dalla riga di servizio, mandando su tutte le furie il n.1, che ancora si sogna la notte quel match come uno dei suoi peggiori incubi! Sul centrale è nato il mito di Nadal, ma anche quello di Mats Wilander, che vinse ancora teenager il suo primo Parigi nel 1982 sulla scia del mitico Borg. Un vero computer in campo Mats, capace di servire il 100% di prime palle nel primo set della finale 1988 contro Leconte. A Parigi s’è vissuta anche la rinascita di Agassi nel 1999, quando vinse partendo dalle retrovie l’unico Slam che gli mancava, ritrovando il meglio del suo tennis e l’amore per Steffi Graf (beh, a Parigi poi…). Sul centrale di Roland Garros si è disputata una delle finali più belle per gli amanti del tennis raffinato, quella del 1996 tra Kafelnikov e Stich, match tecnicamente superbo, un campionario completo di classe tecnica e capacità di usare tutto il campo, alternando scambi e attacchi, senza mai violenza o rotazioni eccessive. Divertimento purissimo.
Il Roland Garros ogni stagione crea meraviglie, e val bene qualche giorno di ferie per esser vissuto dal vivo. Sotto il tiepido sole parigino, immersi nei profumi dei parchi del Bois de Boulogne, il tempo scorre più lentamente. E’ lo scenario ideale per gustarsi un campionario pittoresco e irripetibile di umanità, tecnica, ira, fatica, esaltazione e drammi sportivi. Giusto le sensazioni che anno dopo anno prova il pubblico, una delle cose che più mi affascina del torneo. Grazie alla città che richiama di per sé ogni tipo di turista, lo spettatore di Parigi è qualcosa magnificamente vario e intrigante. Il pubblico è mediamente molto competente, ma c’è un’atmosfera più colorita di quella un po’ sacrale di Londra. Lo senti da come si parla nelle code per accedere all’impianto, ai bar nell’attesa di un panino (carissimo, ed evitare il gelato come la peste…), nelle tribune, nel magnifico corridoio sotto al Chatrier dove molti sostano guardando le immagini dai vari campi, e magari sperano di incrociare un giocatore o Vip. Il tifo è caldo, ma senza eccessi, a meno di un francese on court, e qua sì che i pronipoti di Monsieur Nicolas Chauvin danno “spettacolo”, alzando a dismisura i decibel della passione e perdendosi in qualche eccesso di patriottismo; ancor più sul Lenglen, stupenda seconda arena dell’impianto dove vengono generalmente proposti i big francesi quando non incontrano un altro top player e il tifo è veramente caldo.
C’è passione vera, grande attenzione al programma ed ai giocatori, che si sentono come in pochi altri tornei così vicini alla gente. Basta uscire dalla Metro alla mattina, fermata Porte d’Auteuil, per accorgersene. Il campionario di aneddoti raccolti nelle varie presenze parigine sarebbe sterminato. Uno dei miei più cari è datato 2011. Proprio su di un affollato vagone della Metro 10, mi siedo (miracolosamente) accanto ad un bambino, vestito già con la divisa dei raccattapalle, che chiede al nonno “come giocava Henri Leconte?”. Gli occhi azzurri del vecchietto si illuminano, dalla sua voce calma e baritonale esce un racconto fluente, fatto di poche precise parole, a descrivere al piccolino la classe di “Riton”, i suoi colpi di genio mancino e la sua scarsa capacità fisica, suscitando evidente emozione. E che dire della sosia di Shakira che, armata di bandierone colombiano, aizzava il pubblico che le scorreva a fianco nella disperata ricerca di un biglietto per il centrale, promettendo addirittura una cena insieme! “Famosi” erano i bagarini nordafricani che bazzicavano le vie d’accesso allo stadio, cercando l’affare di giornata. Un nuovo sistema di vendita e stampa degli biglietti ha quasi cancellato questi loschi figuri, che però vari appassionati “usavano” per ingressi last minute. Ancora qualche bagarino ci prova, chiedendo ai passanti biglietti da comprare e quindi rivendere agli interessati poco lontano, dentro un minivan lì parcheggiato per essere al riparo dagli occhi lunghi della gendarmeria. Consiglio vivamente di astenersi da tali rischiose trattative…Tra i più coloriti i supporters dal vicino Belgio, con l’immancabile cappellino nero-giallo-rosso e già belli carichi di birra alle 11 di mattina. Molti di meno gli americani, anche a detta delle sorridenti signorine dei vari shops, disseminati un po’ ovunque: “i giapponesi comprano più di tutti, gli americani compravano molto, ma sono calati come numero. Il gadget più venduto? Molti chiedono gli orologi, ma non costano poco, allora ripiegano su t-shirt e cappellini” dai 25 euro in su, tanto per gradire. E per i maniaci dei materiali, un’altra chicca niente male: la possibilità di veder lavorare da pochissima distanza alcuni incordatori ufficiali impegnati a preparare le racchette fresche di giornata dei campioni. Così da poter scorgere gustose curiosità, come sulla racchetta usata da Nadal nel 2011, sulla quale il gommino “cortex” era in realtà solo dipinto e non reale. Alcuni stringer sono pure simpatici, e nei momenti di pausa sono disponibili a qualche chiacchiera e consiglio, ma non gli chiedete le specifiche delle “armi” su cui lavorano, sono top secret!
Anche la struttura contribuisce al fascino dell’evento, impianto che non è giusto definire decadente ma un po’ vecchiotto sì rispetto alla modernità e dimensione degli altri Slam (circa 9 ettari l’area di Parigi contro i 15 di Flushing e 19 di Wimbledon e Melbourne Park), e che cozza terribilmente sulla grandeur francese e con le mire della FFT, che mal sopporta di vedere il “suo” torneo come l’ultima ruota del carro tra i big 4. Tanto che nel recente passato si vociferava sul rischio per Parigi di perdere il suo Slam, a meno di un radicale ampliamento dell’area del torneo. Così che fin dal 2008 si sta lavorando per un progetto nuovo, con tanto di bando pubblico lanciato e la nascita di progetti faraonici che avrebbero però spostato tutto a Versailles, Gonesse, o addirittura a Marne la Vallée, attuale sede di Eurodisney. Aree grandi, ben servite e capaci di ospitare strutture modernissime, ma lontane dal centro e lontanissime dal fascino attuale del Roland Garros. Alla fine dopo varie lotte intestine alla stessa federazione e al governo della città di Parigi, il progetto definitivo è stato approvato e presentato, con scadenza 2016.
Questo prevede la copertura del Chatrier ed una sua riorganizzazione, la costruzione di altri campi sulla sinistra del Lenglen con un centralino capiente, un nuovo centro stampa, l’ampliamento della piazzetta dei Moschettieri (che ospita le statue in bronzo dei 4 mitici campioni francesi degli anni ’20) e la distruzione del campo n.1, che sarebbe ricostruito interamente fino ad accogliere oltre 5mila spettatori nell’area verde che oggi ospita uno storico giardino e due serre ottocentesche. Apriti cielo! I residenti, comitati di ecologisti ed altri oppositori hanno fatto muro contro il progetto, riuscendo ad ostacolare la sua messa in opera grazie alla sentenza di un tribunale amministrativo, che ha bloccato il progetto considerandolo illegale per i vincoli che andrebbe ad abbattere, ma anche per il piano finanziario, considerato troppo favorevole per la FFT (concessione di 99 anni ad un canone irrisorio per il valore dell’area). I comitati di opposizione avevano anche parlato di un progetto alternativo in accordo con il comune, che grazie alla copertura di parte della tangenziale A13 adiacente e lo sfruttamento di altre aree sarebbe risultato meno invasivo e avrebbe salvato le serre di Auteil. Ma la federazione ha rilanciato, mettendo in primo piano “gli interessi dell’evento”, tanto che proprio sabato 25 maggio una press conference ha confermato nella sostanza il progetto, slittandolo però al 2018. Battaglie politiche e finanziarie a parte, ci sentiamo di salvare il fascino e la storia dell’attuale Roland Garros, un po’ come scritto per Roma poche settimane fa, perché la tradizione è forza e prima di cancellarla con un colpo di spugna è bene rifletterci attentamente. Quello che personalmente non mi sento di condividere è la perdita (quasi certa) del bellissimo campo n.1 per far spazio alla “piazzetta”. Non solo un attentato alla storia dell’impianto, ma uno scempio alle emozioni stupende che si vivono in questo campo, unico nel suo genere. Sarà per quella forma circolare, sarà per la magia del luogo, ma assistere ad un match da bordo di quel campo provoca sensazioni rare, un po’ da arena taurina, un po’ da teatro. Il suono è amplificato, la vicinanza al gioco e la prospettiva è ideale per seguire una partita e cogliere tutti gli aspetti tecnici.
Anche la luce che filtra nel tardo pomeriggio dalle lapidi con scritte sopra i nomi dei passati vincitori ha un potere tutto suo, donando magia al catino. Non ha prezzo aver avuto il privilegio di seguire le gesta di Djokovic, Schiavone e altri campioni dal bordo di questo campo e dalle buche dei fotografi, percependo a pieno la velocità della palla, le traiettorie che vivono gli atleti, la trazione dei piedi sulla terra, la palla che quasi ti sbatte in faccia a velocità spaziali… Emozioni straordinarie, che morirebbero insieme al barbaro abbattimento di questo stadio. Ma il business è il business, e del resto i faraonici incassi del Roland Garros finanziano buona parte di tutto l’enorme movimento tennistico francese, scuole e tecnici. Se vi chiedete come mai la Francia riesce sempre a proporre nuovi e interessanti giocatori, la risposta è un mix superbo di passione, tradizione, qualità di insegnamento e i fiumi di denaro che arrivano proprio dagli Open di Francia. In pratica ogni morso dato al carissimo panino acquistato al “Rolando” servirà a lavorare su nuove leve che faranno da ricambio a Tsonga & compagnia, nuovi tennisti che regaleranno future gioie tennistiche. Chissà che allora il gommoso panino acquisterà un sapore un tantino più gustoso…
Marco Mazzoni
TAG: Marco Mazzoni, Roland Garros, Roland Garros 2013
Articolo appassionante! Avevo trovato meravoglioso anche quello dedicato al Montecarlo Master. Complimenti Marco, aspettiamo i prossimi!
per chi ama il tennis, i “pezzi” di mazzoni sono un must. Ho avuto la fortuna di vivere il RG 2011, e le parole di questo articolo mi fanno rivivere quel grande slam, dove una buona schiavo non è riuscita a riconfermarsi regina di paris. Vederla dal vivo in finale, comunque, vale i giorni di ferie presi. voglio ripetere l’esperienza nel 2014
l’articolo nei sui contenuti è bellissimo, tuttavia la terra battuta è il cimitero del tennis, su questa superficie il doping diventa il colpo vincente, preferisco 1000 volte l’erba di wimbledon dove sicuramente le partite sono molto più epiche e la tecnica prevale, anche se per far vincere dopal hanno fatto di tutto per rallentare il gioco !!!
Fantastico articolo!!! (Come sempre tra l’altro) 😛 😛 😛
ottimo articolo anche se manca una citazione sulla straordinaria finale 1984 tra Lendl e McEnroe…
Grazie mille Marco per questi racconti. Io sono giovane e seguo il tennis da circa 6-7 anni. Ma ritengo molto interessanti questi racconti storici 🙂
@ appassionato (#854785)
pensavo volessi le ferie per leggere l’articolo
Lunghissimi,ma interessantissimi racconti.Brava live.tennis,continua a far decantare al prode mazzoni le sue analisi,sono sempre molto interessanti,anche per gente come noi che conosce storicamente il tennis.
bravissimo come sempre marco mazzoni!
bel’articolo leggermente troppo lungo ne ho letto cmq una buona parte. l’anno prox spero di prendere 5 gg di ferie per il rolando